Oggi è un giorno importante. Lo è per me, che sono una delle tante ragazze che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare (DCA).
Eppure la salute psichica e fisica dovrebbero essere interesse comune, tutti i giorni. Ogni giorno dovrebbe essere un’opportunità per combattere contro la tossicità che ci circonda, insita nei nostri schemi, nelle scuole, nelle famiglie, nei gruppi di amici. Ogni giorno dovremmo anche solo prevenire ogni tipo di malattia, per quanto possiamo, nel nostro piccolo.
Ma cosa significa prevenire? Cosa significa fare prevenzione? Il nostro amato Treccani ci informa che attuare dei comportamenti di prevenzione rappresenta “l’adozione di una serie di provvedimenti per cautelarsi da un male futuro, e quindi l’azione o il complesso di azioni intese a raggiungere questo scopo”.
Quindi, se riflettiamo bene su queste parole, si può solo agire sul presente.
Si può agire nelle case, nelle famiglie, nella scuola, nello sport, nei gruppi di coetanei, ampliando e migliorando le strutture adatte a queste patologie. Ma è solo sapendo cosa sono i disturbi alimentari che si può prevenire la brutale crescita del fenomeno a cui la popolazione di tutto il mondo è stata soggetta.
Compresa io. Comprese tante bellissime persone che ho incontrato e incontro ancora lungo il mio percorso. E no, non è un percorso di guarigione dal DCA, è un percorso di crescita personale che, a prescindere dal disturbo in sé, augurerei a tutti.
Nella maggior parte dei casi, le persone conoscono solo tre delle tante malattie che compongono i DCA: anoressia, bulimia, binge eating. Il problema è che, però, ne esistono molti di più: PICA, ARFID, ortoressia, vigoressia. E quanti di voi sanno di cosa stiamo parlando?
Diagnosticare il disturbo sviluppatosi serve affinché l’intervento terapeutico sia più ottimale possibile.
Perché?
Perché di DCA si muore, perché si sopravvive e si convive, perché questa non si può chiamare neanche vita. Si sviene. Si va in ospedale. Si soffre di svariati problemi gastroesofagei. Si possono sviluppare cardiopatie, squilibri elettrolitici.
Ma soprattutto si soffre, si soffre come non mai. Ci si sente avvolti da una nube oscura, risucchiati in un vortice così ciclico che sembra non avere mai fine. Gli anni passano, ma la vita non è più tua. Perdi occasioni, momenti. Anzi, non ti dai nemmeno la possibilità, perché, in fondo, non te lo meriti.
Perché sei certa di meritare dolore, di non essere abbastanza, di essere abbandonata da tutti.
Nulla è sottovalutabile, nulla si può dare per scontato.
Potrei star qui a scrivere un saggio scientifico su cosa significano tutti quei nomi e acronimi, sulle loro cause e conseguenze. Ma questa vuole solo essere la mia storia, e oggi scelgo di presentarmi così, nuda come un fiore di ciliegio.
Questo 15 marzo per me è completamente diverso dallo scorso; ma è grazie a quello precedente che oggi sto iniziando a fiorire. Lì ho conosciuto quella che in questo assurdo anno è diventata una delle mie migliori amiche. Dico “assurdo” perché è come se, di anni, ne avessi vissuti tre tutti assieme.
Ho conosciuto realmente il dolore delle mia compagne di viaggio, ma anche delle persone che le accompagnavano, che soffrivano da matti. Ricordo perfettamente che ebbi una brutta crisi bulimica la sera prima di quello scorso 15 marzo. Non volevo nemmeno andare alla mostra organizzata per l’indomani, ma alla fine mi convinsi e, quando andai, piansi, piansi tanto, piansi tutta la mia tristezza, felicità, paura, disgusto.
E poi così, all’improvviso, sentii una forte spinta di solidarietà da persone che in realtà neanche conoscevo al tempo. Assurdo come un dolore simile possa legare delle persone alla vita.
Piansi perché iniziai a capire che potevo uscirne. Piansi perché tante, troppe persone soffrivano esattamente come me. Piansi perché ero stanca.
Piansi perché il DCA ti toglie l’anima, ti scava dentro e tu non sai più chi sei, o come ti chiami, o, anzi, non hai neanche il coraggio di dirlo il tuo nome, o se la tua famiglia ti ama.
E ti senti solo. Infinitamente solo.
È come vivere con un demone nella testa che ha sempre da dire e ridire, che ti dice cosa devi fare, si lamenta, ti ricorda i tuoi traumi, sottolinea quanto sia sola e che solo lui è lì per aiutarti davvero.
Ti porta indietro nel tempo, mostrando su quella pellicola della tua vita solo le immagini più devastanti, cosicché tu non sia più il regista della tua storia, facendoti credere di aver lasciato la macchina da presa a qualcun altro, nell’assurda convinzione di salvarti.
Come se quello che c’è al mondo di profondo, bello e gentile non esistesse, come se tu meritassi solo dolore. Come se il tuo corpo meritasse solo giudizi. Ma, come dice la mia migliore amica, ogni corpo ha la sua storia, nessuno merita giudizi.
Poi inizi a sentirti ingombrante fisicamente e psicologicamente. E allora pensi che controllando tutto intorno a te tu possa stare meglio. Il cibo diventa un nemico-amico.
Ma perché, allora, tenere dentro di sé un essere così arrogante, insidioso, maligno e subdolo che causa solo dolore? Perché lui per tutte e tutti noi c’è, ci protegge, ci permette di rimanere bimbe, ci permette di rimanere nella nostra falsa comfort zone.
Che alla fine di comfort non ha niente, ma solo masochismo e autolesionismo.
Ognuno di noi ha dei traumi e non sa come affrontarli. L’unico modo per farlo è chiedendo aiuto, credendoci, comunicando i propri bisogni. Ho imparato che è molto più coraggioso chiedere aiuto che farsi del male.
Ma la forza più grande che mi ha dato il coraggio di combattere ogni giorno sono state le testimonianze delle mie fantastiche amiche, la forza del gruppo, il supporto degli operatori che credono in noi, l’empatia, l’amore, la self–compassion, la gratitudine, la creatività nel riscoprire che il nostro corpo è tanto altro.
Perché non avete idea di quanto sia emozionante condividere, affrontare dei fear food, o la gioia nel veder tornare le proprie mestruazioni e quelle delle proprie compagne di viaggio, come se fossimo neonate improvvisamente arrivate alla pubertà e, al contempo, finalmente ritornate adulte.
E tu gioisci, come non mai, come se fosse accaduto a te, come se fosse la prima volta, perché abbiamo tutte una forza che va oltre ogni immaginazione. E come disse la mia migliore amica, ogni corpo ha la sua storia, nessuno merita giudizi.
So di non essere il mio disturbo alimentare o ossessivo compulsivo. Ho scoperto di essere un ciliegio in fioritura, ho scoperto che dentro di noi c’è qualcosa di incredibilmente grande che deve sbocciare: il cibo, il corpo, il disgusto, la contaminazione sono solo sintomi, la radice è nella nostra anima. Ognuno di noi ha una forte energia dentro, che può avere diverso colore e diversa forma. Ma bisogna avere coraggio, coraggio di vivere, di essere sé stessi, di dire il proprio nome, di mollare il controllo e riprendere la macchina da presa.
Solo un mese fa, sulla Cupola di Santa Maria del Fiore, insieme alla mia migliore amica, con la fatica addosso e la pioggia che accarezzava dolcemente i nostri visi, mi sono sentita viva.
Ero lì, ero presente e ho capito che auto sabotarmi, odiarmi, farmi del male non è la soluzione. Io sarò sempre con me e la prima persona che voglio amare sono proprio io.
Nel frattempo, questo ciliegio continua a mettere le sue radici. Posso dirvi che la strada è dura, che ogni percorso è diverso, ognuno pieno di alti e bassi, come sempre nella vita; ma non siete sole/i.
Io non sono sola. E anche se non ci conosciamo da e in ogni parte del mondo, noi sappiamo cosa significa vivere in questo vortice che si ostina a volerti risucchiare dentro, senza lasciarti ossigeno, ancora e ancora.
Ma noi ci siamo gli uni per gli altri, anche non sapendolo. A ognuno di voi e a me sono infinitamente grata. Finché potrò continuerò a far sentire la mia voce, che è un po’ anche la vostra. Tante voci che aiutano a colorare il mondo l’uno dell’altro.
Stavolta vedrai, trionferemo noi.
Nata a Cosenza nel 1999, laureata in scienze e tecniche psicologiche.
Ama cucinare, vedere film e fare sport. Adora anche viaggiare, perché sente che la fa rinascere e le permette di guardare quello che ha intorno con occhi diversi.
Spera di diventare una brava psicoterapeuta un giorno e di riuscire anche a continuare a coltivare la sua passione smodata per la cucina!