"Non abbiamo forse il diritto di amarci tutti pubblicamente, di indossare un velo se il nostro cuore lo desidera o lasciarlo dentro a un cassetto se non sentiamo che ci calza a pennello?"

Cari Potenti del mondo,

siete intervenuti in una guerra che vede contro Russia e Ucraina.

Avete cercato di portare democrazia in Paesi che non hanno mai conosciuto il significato di questa parola a noi tanto cara, né la sua applicazione. Avete inviato aiuti umanitari in zone colpite da terremoti.

In Iran, intanto, migliaia di uomini morivano o venivano arrestati perché non graditi al governo.
E la situazione odierna non è molto diversa da quel lontano 1979.

Ancora oggi, nel Paese, vengono meno molti dei 30 articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La stessa che avete promosso il 10 dicembre 1948 a Parigi.

Guerre, torture, abusi perpetrati negli anni ci hanno insegnato che non possono e non devono esistere popolazioni di serie A e di serie B perché siamo tutti esseri umani, e in quanto tali, abbiamo il diritto alla vita.

Una vita degna di essere vissuta, liberi di scegliere e di pensare.

Non abbiamo forse il diritto di amarci tutti pubblicamente, di indossare un velo se il nostro cuore lo desidera o lasciarlo dentro a un cassetto se non sentiamo che ci calza a pennello?

Che sogno sarebbe poter passeggiare per le strade di questo Paese, con una storia più antica di quella di Roma, e ascoltare musica occidentale. Poter ballare sotto la pioggia o il sole di mezzogiorno per il puro piacere di essere felici.

Sorridere! Finalmente liberi di stringersi mano nella mano e mostrare al mondo quanto sia bello l’amore.

Noi, nati nella parte libera del mondo possiamo farlo.

Possiamo fare tutto senza che qualcuno ci dica “Lei è in arresto”, solo perché nella borsa si intravede la copertina de “Il Grande Gatsby”.
È stato questo il regime di Khomeini perpetrato negli anni.

Anni dove quasi niente è cambiato.

Allora, forse, basterebbe poter vivere senza paura.

La paura di essere arrestati per una frase urlata a gran voce o morire perché il velo non è indossato alla giusta maniera.

Paura che accada qualcosa di brutto perché si è messo un po’ di mascara sulle ciglia per farsi carine per il ragazzo che abita a pochi isolati di distanza. Lo stesso mascara che il regime puliva dai volti delle studentesse che entravano a scuola o all’università.

Vorrei prendere per mano le donne iraniane che con coraggio, allora come oggi, combattono per i loro diritti.

Vorrei poter dire loro di non arrendersi, che il loro coraggio è esempio per altre che, in Paesi lontani dal loro, vivono gli stessi soprusi.

Vorrei poterle vedere un giorno camminare libere. Con velo o senza velo, per loro libera scelta.

Vorrei dir loro: siete nate donne. Siete nate libere.

Vorrei vedere le persone sorridere all’ombra di una quercia mentre leggono “Il vento selvaggio che passa”.

Pensate a tutta la gente uccisa, scomparsa, imprigionata solo per essersi messa dalla parte giusta: quella che crede ancora nella parola “libertà”.

E per offuscarla, sono stati compiuti atti indicibili.

Me lo immagino l’Iran mentre magari volge lo sguardo alle sue montagne sperando che nella loro maestosità possano difenderlo dai soprusi.

E forse interrogherà il cielo chiedendo “Mi salverò?”

Cari Potenti del mondo, in un periodo di grandi fragilità e incertezze, ho un’immagine nella testa: un mondo che spegne le luci dello spettacolo e abbassa lentamente il sipario.

Ssst! Niente applausi per chi ha fallito.

Il silenzio è interrotto da un’eco lontana.

Sono urla, rumori di armi.

Il pianto di un bambino.

“Ci salveremo?”

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