La libreria di mio nonno si trova nel suo studio, la stanza sacra, e occupa tutta una parete. È altissima, praticamente arriva al soffitto, ed è di legno scurissimo – mogano o noce, non sono un’esperta –, tutta intarsiata. Ha moltissimi ripiani su cui campeggiano targhe, fotografie e diversi soprammobili. Mi ha sempre dato l’idea di qualcosa di molto importante, a tratti anche di segreto, complici le varie aperture con chiavi dorate, che non ho mai osato aprire. La libreria è sempre stata in perfetto ordine, tutto organizzato con criterio e logica che non ho mai compreso. Per quanto mi abbia sempre affascinato quel piccolo tempio, inavvicinabile e quasi intoccabile, il mio paradiso era il tavolo di fronte la grande libreria. Sul tavolo è passato di tutto: riviste, libri belli e brutti, inserti di giornali, block notes, spiccioli, volantini.
Negli anni, il tavolo ha iniziato a diventare un deposito di libri accatastati in alte colonne che mi divertivo a sbilanciare o riordinare. Mio nonno ha sempre avuto l’abitudine di comprare un paio di libri alla volta, così da non doversi recare costantemente in libreria per prenderne di nuovi. Il pomeriggio, dopo aver letto tutti i giornali che comprava, passava al libro del momento. Mio nonno ha letto moltissimo, per tutta la sua vita, e ha letto davvero di tutto. Non si è mai posto troppi problemi, perché a lui piaceva conoscere, ampliare la sua cultura e affidarsi alla letteratura come compagna e amica fedele. E lo è sempre stata. Gli ho visto leggere Khaled Osseini, Ken Follett, Sandro Veronesi, Margaret Mazzantini, Shakespeare, Stendhal. Complice mia nonna, insegnante di lettere, ha sempre trovato qualcosa di stimolante a cui abbandonarsi in quelle lunghe ore sul divano.
È stato proprio mio nonno a regalarmi la gran parte dei libri che possiedo, era una tradizione: i libri e le scarpe me li regalava nonno. Ma, la cosa che ho sempre preferito di più, era il momento in cui mi dava uno dei suoi testi per leggerlo e dirgli cosa ne pensavo. Mi faceva sentire grande, mi dava importanza, e io ero sempre ansiosa di condividere insieme a lui la mia opinione. Allora, sceglievo uno tra gli ultimi libri che aveva letto da una delle colonne sul tavolo e lo portavo a casa. A volte lo facevo anche di nascosto, e mia madre si arrabbiava moltissimo, perché diceva che non dovevo toccare le sue cose; a lui invece non è mai importato molto, perché gli faceva piacere. Ho sempre sospettato che, in realtà, desiderasse che lo facessi.
Un’altra cosa che ho sempre adorato è che nonno comprava i libri con la copertina rigida, banditi gli altri: “scomodi da leggere, meglio spendere di più e avere la copertina rigida”. Così, nel nostro scambio sono passati tanti libri, alcuni che neanche ricordo, altri che invece hanno lasciato il segno. Alcuni lo hanno fatto non per il loro valore letterario, ma per il confronto avuto con lui. Molti libri hanno inciso sulla mia visione della letteratura e della vita e, ancora oggi, viaggiano con me, nel mio cuore e nei miei ricordi.
Fabio Volo, Il giorno in più, Mondadori
Prima che pensiate male, ricordate quando ho detto che nonno ha letto di tutto? Ecco. Sempre da lui ho imparato a conoscere una cosa prima di giudicarla.
Quando mi diede questo libro, mi disse: “Leggilo, voglio proprio sapere cosa ne pensi. Per me è davvero bruttarello”. E, onestamente, rimasi piuttosto sorpresa. Mio nonno che legge Fabio Volo? Beh, è capitato, succede anche ai migliori, non lo sapete? Comunque, mentre io ero un po’ disorientata, lui era alquanto divertito. Vi confesso che il commento sul libro me lo fece in dialetto, il che rese il tutto ancora più buffo.
Per quanto riguarda il libro di Volo, posso dirvi che alla fine l’ho letto, e ricordo perfettamente le labbra arricciate di fronte la descrizione di Giacomo – così si chiama il protagonista – che va in bagno. Ad ogni modo, la storia non è niente di innovativo, lui e lei si conoscono dopo essersi scambiati occhiate in tram, poi lei si trasferisce lontano e lui la raggiunge, si innamora e niente, non vi dirò il finale. Non posso dire di essere rimasta estasiata dalla lettura, specie perché la storia, per quanto non male, mi ricordava moltissimo La ragazza delle arance di Jostein Gaarder, che mi piacque da morire. C’è stato un momento in cui ho addirittura pensato si trattasse di plagio, ma non ne ho mai avuto le prove.
Ritornando al Giorno in più, scrittura mediocre, storia banale e prosa piuttosto dimenticabile. Lo feci passare con la sufficienza perché dovevo capire da dove provenisse il fenomeno Fabio Volo – se n’è parlato davvero tanto – così ne lessi anche un altro… Mollato dopo i primi capitoli. Ma questo non me lo regalò nonno, per cui non c’entra. Quindi scusa, Fabio, ma per me è no.
Antonio Tabucchi, Racconti, Feltrinelli
Su Antonio Tabucchi potrei scrivere tanto, anzi, così tanto che dovrei inventare nuove parole. Tra me e lo scrittore pisano c’è sempre stato tanto affetto, un legame speciale iniziato proprio in quello studio e con la compagnia di mio nonno. Il libro è la raccolta di tre volumi di racconti del decennio 1981-1991 che comprende Il gioco del rovescio, Piccoli equivoci senza importanza, L’angelo nero. La copertina è blu, liscissima, con una foto in bianco e nero dello scrittore in alto al centro. I racconti sono tanti, tutti bellissimi e contraddistinti da quello stile che solo Tabucchi sa padroneggiare con eleganza e maestria.
Tabucchi è un grande, e gioca coi personaggi degli altri in alcune storie. I suoi racconti sono scritti con ingegno ed estrema grazia, sanno essere leggeri e pesanti, colmi di emozione e di amore per la scrittura. Tra questi, il mio preferito era Il gioco del rovescio per i frequenti rimandi a Fernando Pessoa e alla storia dell’arte – la narrazione inizia mentre il protagonista si trova al Museo del Prado ad ammirare Las Meninas di Velasquez –, l’atmosfera lusitana, quasi magica, la lieve inquietudine della storia e la sua enigmaticità.
Quando Maria do Carmo Meneses de Sequeira morì io stavo guardando Las Meninas di Velázquez al museo del Prado. Era un mezzogiorno di luglio e io non sapevo che lei stava morendo. Restai a guardare il quadro fino alle dodici e un quarto, poi uscii lentamente cercando di trasportare nella memoria l’espressione della figura di fondo, ricordo che pensai alle parole di Maria do Carmo: la chiave del quadro sta nella figura di fondo, è un gioco del rovescio.[1]
Da queste battute, prende inizio una storia intricata e complessa, che cela il suo profondo significato nel quadro del pittore spagnolo e nell’esistenza della misteriosa Maria do Carmo. Il gioco del rovescio mi ha lasciato la curiosità di vedere oltre, stravolgere al contrario la realtà e, spesso, anche la finzione. Perché c’è sempre un altro modo di vedere le cose.
Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi
Le liriche della poetessa polacca premio Nobel sono state tra le ultime che mio nonno ed io ci siamo scambiati prima della mia partenza per l’università. I suoi versi hanno riempito i miei giorni, stravolto e abbracciato il mio cuore. La semplicità del suo scrivere, così colmo di realismo e verità, sono stati cura e antidoto in giornate a volte buie. Il suo continuo porsi domande, spesso lasciate senza risposte, il suo stupore di fronte l’incredibile fatto di essere umani è qualcosa che, ancora oggi, mi riscalda e accompagna sempre.
La poesia della Szymborska dona continuamente nuovi significati ai dettagli della vita quotidiana, assomiglia a un fenomeno complesso di mosaici semplici, sempre capace di far riflettere il suo lettore. La semplicità è una sfida alle teorizzazioni degli studiosi, le sue parole sono arrivate a tutti senza l’appoggio del mondo critico e dei media. La Szymborska non si è mai associata a nessuna scuola poetica poiché, da sola, è stata capace di creare un proprio percorso, riuscendo a plasmare un nuovo linguaggio poetico capace di colmare la distanza tra il singolo momento quotidiano e l’evento storico di grande rilevanza. La sua gioia di scrivere è arrivata anche a me, dritta al cuore.
Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.[2]
Sono grata a quel tavolo pieno di tesori, a quella grande libreria che mi ricorda un sogno, ai libri che ho letto grazie a mio nonno. In me, resterà sempre la necessità di immaginare cosa avrebbe detto del libro uscito da poco candidato allo Strega. Aspetterò sempre di condividere anche solo una parola su una delle mille storie che incrocio. E ognuna di queste sarà una piccola ma immensa ricchezza.
[1] Antonio Tabucchi, “Il gioco del rovescio” in Racconti, Feltrinelli, 2005 (Pag. 11).
[2] Wislawa Szymborska, “Amore a prima vista”, in La gioia di scrivere, Adelphi, 2009.
Docente, laureata in Lettere Classiche e Filologia Moderna.
Ha conseguito un Master in Economia e Organizzazione dello Spettacolo dal Vivo, perché il suo sogno nel cassetto è di diventare la giovane manager degli artisti lirici italiani nel mondo.
Dalla spiccata sensibilità, fa dell’istruzione la sua missione quotidiana, plasmando giovani menti, e fa volontariato in ospedale grazie alla sua prepotente voglia di aiutare il prossimo.
Appassionata di musica (di ogni genere), lettura e scrittura, soprattutto creativa.