"Il rugby non è solo sudore, fango e birra. Si resiste per uno scopo comune e per il benessere proprio e degli altri, senza che nessuno sia mai lasciato indietro."

“Il rugby è l’assoluto ordine nell’apparente disordine “ – Sandro Cepparulo, giornalista.

Il rugby è erroneamente definito come uno sport brutale, privo di moralità nei confronti dell’avversario, dove regna esclusivamente la forza fisica.
Ovviamente, nulla di più lontano dalla realtà. Perché, si badi bene, dietro il volto tumefatto di un rugbista, dietro la sua divisa lacerata o le sue scarpette incrostate di fango, si cela un cuore orgoglioso, sempre pronto a dare il meglio fuori e dentro il campo.

Nasce in Inghilterra, si diffonde grazie alle public schools dell’aristocrazia inglese, ma nonostante ciò non si definisce come sport prettamente elitario: il rugby insegna che, sul campo, si è tutti uguali.
Difatti, a prescindere dalla propria estrazione sociale, dalla propria fisicità, dal proprio carattere, tutti e dico tutti, giocano insieme nel fango (ma esistono anche i campetti d’erba, tranquilli!).
Un’importante consapevolezza che andrebbe applicata a tutti gli aspetti della vita. Le diversità dei singoli giocatori, fisiche e non, permettono di raggiungere più facilmente lo scopo comune, cioè la vittoria.

Il rugby è il miglior modo per tenere trenta energumeni lontano dal centro della città durante il fine settimana” – Oscar Wilde.

Ebbene, non vi è alcun dubbio sul fatto che il rugby sia uno sport di contatto. La mischia è il “contatto” per eccellenza. È definita come una squadra nella squadra e ha come scopo quello di far ripartire il gioco attraverso la conquista del possesso palla. Ad una prima occhiata appare come una mera rissa, ma è in realtà un gioco di equilibri. Equilibro inerente alla forza fisica, ma anche l’equilibrio dato dall’alchimia che si crea tra i singoli giocatori. Infatti, l’uno sostiene l’altro per respingere una forza avversaria.

La disciplina, nel rugby, è fondamentale. Disciplina che si applica sia nei confronti dell’allenatore, ovviamente, sia nei confronti delle decisioni arbitrali. È raro, anzi rarissimo, che una decisione arbitrale, giusta o erronea, sia accompagnata da insulti o polemiche gratuite. L’arbitro è l’autorità in quel caso e, per quanto la decisione possa danneggiare la squadra, si accetta, senza farsi distogliere dalla conquista dell’agognata vittoria.

Fondamentale, nel rugby, è il rispetto dell’altro.
In campo si gioca con l’avversario, non contro, per valutare chi sia valevole più dell’altro nel conquistare la palla. Questa filosofia di vita, che andrebbe notevolmente recuperata o nuovamente applicata in molti sport, trova la sua massima espressione nel “terzo tempo”.

Il terzo tempo è un’antica tradizione rugbistica, nata nei piccoli club e diffusa poi a livello internazionale, dove, a conclusione della partita, le due squadre avversarie condividono il pasto; il tutto accompagnato, rigorosamente, da una buona pinta di birra.
A prescindere dal risultato della partita, chi si è scontrato duramente durante la stessa condivide con il suo avversario sportivo un momento di pura condivisione e goliardia. Tutte le rivalità sportive si trasformano in un momento di conoscenza, non solo dei giocatori, ma anche delle famiglie e degli amici degli stessi.

Indelebile nella mia memoria è un terzo tempo vissuto in prima persona a Londra, fuori dal campo di Twickenham, dove si giocava una partita del Torneo Sei Nazioni di Rugby, nello specifico Inghilterra – Italia.
Finita la partita, in un clima notevolmente festaiolo, inglesi e italiani si sono riuniti davanti alle Rolls Royce parcheggiate fuori dallo stadio. Dal bagagliaio delle stesse è uscito, come d’incanto, un luculliano picnic, con cibo servito rigorosamente con posate d’argento e accompagnato da birra o champagne a scelta.

Il rugby non è solo sudore, fango e birra. Il rugby insegna anche la capacità di soffrire. Attraverso questo sport, sia che la sofferenza sia data da una ginocchiata nello stomaco o dalla perdita di una partita importante, si impara ad affrontarla con gli altri.

Si resiste per uno scopo comune e per il benessere proprio e degli altri, senza che nessuno sia mai lasciato indietro. Difatti, i passaggi nel rugby si effettuano all’indietro, come se chi corresse per primo, davanti agli altri, rivolgesse sempre uno sguardo all’altro compagno di squadra, per farlo sentire protetto e importante per tutto il team.
Come se la palla ovale conducesse dal fango alle stelle.

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