La storia dell’esercizio della democrazia è anche la storia di come politici e partiti comunicano con i cittadini-elettori. Le campagne elettorali tendono sempre più ad assumere le forme del marketing, in cui l’opinione è un prodotto da vendere ad un consumatore.
Vale quindi la pena di soffermarsi su come, in questa tornata del 2022, i diversi partiti e i rispettivi leader si stiano rivolgendo ai cittadini: quali sono i temi scelti e i fini elettorali perseguiti, e, di conseguenza, quali sono le strategie comunicative adottate e se siano o meno efficaci.
CENTROSINISTRA
Come spesso molti osservatori hanno sottolineato, la polarizzazione della comunicazione politica, specie sui social, favorisce il coagularsi di un’ampia fetta di persone. Teoricamente la “metà” di quelli che la pensano in un determinato modo su una questione presentata bipartita. Ma se gli assiomi della scienza comunicativa valgono, c’era solo un partito in Italia che poteva farli crollare tutti: il Partito Democratico.
Rodati nel corso degli anni nella capacità “di non perdere ma neanche vincere” (semicit. Bersani), decidono di sfruttare la loro arma più collaudata per distruggere ogni principio della comunicazione online e la loro stessa campagna elettorale.
Anzitutto va detto che il PD è l’unico partito che si è affidato ad una società esterna per l’organizzazione della propria comunicazione sui social.
La SocialCom, infatti, ha curato l’intera campagna sulle piattaforme, basandosi su quello che lo stesso fondatore della società, Luca Forlaini, ha definito il “metodo scientifico”: analisi dei dati e attento monitoraggio. Eppure, dovrebbero impararlo dalla storia politica della sinistra degli ultimi trent’anni: quando ti affidi al privato esterno, non sempre il servizio viene gestito nei migliori dei modi.
Ma al PD, si sa, poco allettano le logiche di sinistra. E a proposito di “allettare”, Enrico Letta, il segretario del partito, alla ricerca del titolo di leader più carismatico d’Europa, ha optato proprio per l’hashtag #scegli come leitmotiv dell’intera campagna elettorale.
La grafica è semplice e chiara: da un lato il nero, con una breve locuzione richiamante un disvalore o, più banalmente, qualcosa di negativo; dall’altro uno sfondo rosso con al centro l’espressione richiamante l’opposto valore positivo.
Stagliato in secondo piano, il volto sornione dello stesso Letta che accenna ad un sorriso ispiratore di meme, più che di fiducia, ma – bisogna dirlo – quasi umano.
L’elettore viene dunque chiamato a compiere una scelta dal carattere quasi escatologico: la via del bene o del male? Il fascismo o la democrazia? La pancetta o il guanciale?
Ebbene sì, in un tweet di Enrico Letta è comparso anche questo. Nel tentativo di parodiare se stesso per vestire i panni di una comunicazione più liberatoria e vicina al alle giovani generazioni, quasi automemeficandosi, Enrico è finito con l’imbastire uno spettacolo cringe dalle sfumature boomeresche.
Ciò perché l’intera campagna elettorale del PD si basa sull’idea di spingere l’elettore ad esprimere un voto utile (come se gli elettori non avessero fatto altro negli ultimi trent’anni).
La situazione è semplice: atteso che la destra, unita in una grande coalizione, sembra essere avanti nei sondaggi, quasi predestinata di fatto al governo della nazione, il PD è l’unica forza – ma sempre attenendosi a quei sondaggi cui risponde mediamente solo 1 italiano su 2- a potersi porre come antidoto a una loro eventuale vittoria.
In altre parole, votare altre forze, come il Terzo Polo o il M5S, significa disperdere il proprio voto e offrire una chance in più alla destra; specie nei collegi uninominali dove letteralmente il singolo candidato passa con un voto in più.
Il problema è che il PD, pur avendo un programma che, condivisibile o meno, è di fatto strutturato, coerente e organico, ha impostato un’intera campagna elettorale sull’inopportunità di parlarne. Il motivo principale dell’intera campagna è “votare noi, per non far vincere loro”.
Non si tratta di maggiore competenza o di migliori proposte politiche. No, si tratta di bene contro male, noi o loro, vita o morte.
E sei tu, caro elettore, a scegliere. Dunque, la responsabilità è tua.
Ciò di cui non si è accorto il PD è che, purtroppo, non è riuscito a riconvertire l’immagine che l’elettorato ha del partito. Impresa non impossibile dal momento che Conte, piaccia o meno, è riuscito a farlo nello stesso arco di tempo: grazie anche alla defezione coattiva dalla coalizione con lo stesso Partito Democratico, che, invece, ha assorbito il meglio della compagine pentastellata, il più amato Luigi di Maio (per gli amici Giggino).
Con la sua campagna il PD ha scelto di dare un’immagine di partito forte, dalle idee chiare e nette, dalle politiche precise: il partito del rosso contro il nero.
Ma, allo stesso tempo, è anche il partito che durante la campagna elettorale: rivendica l’agenda Draghi ma vuole superarla; può allearsi con Calenda e Renzi, con la sinistra estrema (cosa che dichiara fare solo per fini elettorali, ma con i quali, ha già pattuito, di non voler governare) o con una frangia di Forza Italia.
E, sebbene abbia elaborato, promosso e votato il Jobs Act e il Rosatellum, oggi, in campagna elettorale, li condanna perentoriamente.
È il partito che dichiara di non essere contro il reddito di cittadinanza ma vuole cambiarlo; così come afferma di non essere a favore della patrimoniale, ma che nel contempo ci si può pensare.
In buona sostanza, quella del PD si presenta come una campagna mancata e un’opportunità persa. Avrebbe potuto rivendicare le scelte difficili degli ultimi anni, ma ha deciso di amputare la propria offerta politica, riducendo nell’immaginario degli elettori la percezione dell’utilità del voto al PD.
Non ci resta che dire “Enrico, stai sereno”.
CENTRODESTRA
Il centrodestra, unica coalizione che comprende più di un partito con peso elettorale rilevante non ha uno stile comunicativo unico, anzi: in virtù della forte competizione interna, ciascuno dei 3 partiti ha bisogno non solo di contrapporsi agli avversari, ma anche di smarcarsi rispetto agli alleati.
La comunicazione di Giorgia Meloni, consapevole di avere il vento in poppa, si articola su due canali.
C’è una Meloni essoterica (che si rivolge a tutti, anche agli italiani che non la votano e ai governi esteri), in tv e sui social; e c’è una Meloni esoterica (che parla alla sua gente) nei comizi.
I due stili comunicativi sono agli antipodi: moderata e conciliante nella prima versione, agguerrita e fortemente identitaria nella seconda. Meloni essoterica concede solo sparuti, impliciti richiami ai suoi temi forti: quel tanto che basta per serrare le file, facendo intendere che è pronta ad adottare l’approccio di Meloni esoterica una volta raggiunto Palazzo Chigi.
Questo duplice canale comunicativo cementifica l’elettorato attuale, fortemente identitario, e, contemporaneamente, erode il consenso moderato di FI e Lega (su quest’ultima, non bisogna dimenticare che una grossa quota dell’elettorato del nord-est leghista è di provenienza democristiana) e spunta la principale arma scelta dalla sinistra per attaccarla, ovverosia riprenderne i discorsi e le frasi più feroci.
Inoltre, Meloni evita accuratamente di pronunciarsi in maniera netta su ciò che farebbe al governo: insiste sul fine – risollevare l’Italia e contrastare i suoi avversati interni ed esterni – ma dice poco sul mezzo – le proposte sono spesso vaghe e di entità ridotta.
L’ “insostenibile leggerezza dell’essere Meloni” sta pagando i dividendi: evitando di esporsi eccessivamente su temi programmatici e confinando le invettive più accalorate a specifici temi (quelli identitari) e luoghi (i comizi)e mostrando un volto istituzionale verso l’esterno, macina consensi.
Trasversale a tutta la sua campagna elettorale, c’è la volontà di presentarsi come colei che può risollevare il destino dell’Italia; è questa una strategia assai comune nei leader carismatici: auto-attribuirsi una missione salvifica, facendo però ben attenzione a non risultare forzati o posticci.
Giorgia Meloni mette in scena una narrazione in cui veste i panni della Khaleesi de Garbatella, che emerge dalle masse acclamanti ed è pronta a guidarle verso il futuro e la “libertà”, assolvendo così al proprio destino.
Ultimo – ma non per importanza – compito della campagna elettorale di Meloni è accreditarsi come una possibile premier affidabile e competente.
L’hashtag della campagna elettorale è, infatti, #pronti, a sottolineare come manchi solo il mandato da parte del corpo elettorale per poter finalmente iniziare. L’inquadramento istituzionale sui due grandi temi attuali è notevole: sulla guerra russo-ucraina, si schiera nettamente con la NATO, e sul caro energia richiama alla necessità di agire in fretta evitando di fare eccessivo debito, una posizione che qualunque “burocrate di Bruxelles” approverebbe e che potrebbe persino proporre lui stesso.
Sull’altro versante della coalizione, le difficoltà di Salvini e Berlusconi, che arrancano e inciampano nel tentativo di inseguire l’alleata, sono palesi.
Berlusconi prova a lanciarsi su TikTok: ma qual è il significato del boom di seguaci? I followers non sono elettori: immaginare un’equivalenza tra likes e voti è una delle peggiori allucinazioni che un politico può avere.
Ha senso per Berlusconi, il politico più anziano in campo, verosimilmente più anziano della maggior parte dei nonni degli utenti di TikTok, provare a sfondare tra i giovanissimi? È solo un lontano ricordo il Cavaliere mattatore degli anni ’90-2000.
Rispolvera sempre gli stessi temi (tasse e pensioni), si lascia andare al racconto di qualche barzelletta, e torna di tanto in tanto a paventare il pericolo comunista: ma l’impressione generale è che, a FI e al suo leader, manchino sia la forza per smuovere l’elettorato, sia le idee su come comunicare con esso.
Ciò che resta, in FI, è l’ultimo, disperato tentativo di rivolgersi al popolo moderato di destra, chiedendo consensi per poter fungere da contraltare all’anti-atlantismo di Salvini e al nazional-populismo di Meloni: poca cosa, che rischia peraltro di allontanare definitivamente alcuni elettori, i quali potrebbero cercare alternative al duo Meloni-Salvini fuori dalla coalizione.
Salvini, dal canto suo, sceglie di battere essenzialmente su 3 temi programmatici: flat-tax, quota 41 e decreti sicurezza.
Proposte che risultano tuttavia deboli, essendo drammaticamente simili a quelle della scorsa campagna elettorale e provenendo da chi è appena stato al governo (due volte!).
L’emblema della debolezza elettorale di Salvini, a questa tornata, è rappresentato dal tentativo – impacciato e fin troppo palese – di convincere gli elettori all’abbandono fideistico nei suoi confronti.
#credo è l’hashtag della campagna della Lega, con un fin troppo esplicito appello all’emotività
pre-razionale degli elettori; ma anche implicita confessione di non voler intentare troppo la strada del convincimento logico.
Se infatti la sacralizzazione della politica e del capo può essere una strada proficua per veicolare il consenso (come sta accadendo per Meloni), rischia altresì di alienarlo quando si dia l’impressione che la professione di fede da parte del corpo elettorale sia scientemente ricercata, anziché essere un qualcosa che la massa dà spontaneamente al proprio leader.
Cosentino laureando in Giurisprudenza presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro.
Amante della filosofia del diritto e di diritto costituzionale, materie che esprimono il suo bisogno di riflettere approfonditamente sulla natura e la necessità delle cose, coltiva un’insana passione per il mondo nerd e per il cibo, anche in qualità di food blogger.
Affannosamente curioso e amante del dibattito, è dotato di un animo ironico e mordace.
Appassionato di filosofia, politica e cinema!