"Nel locale vomitai il loro amore, a casa piansi l’amore che Giovanni non mi avrebbe dato".

Agli innamorati e ai macellai

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” – Romani 12, 1

Stordimento

“Ci sono quattro sistemi di stordimento: pistola a proiettile captivo, commozione cerebrale, elettronarcosi ed esposizione al biossido di carbonio. Lo stordimento dev’essere totale e durare fino alla morte dell’animale che avverrà immediatamente dopo per dissanguamento”

Non esisto al di fuori di te, ecco cosa avrebbe voluto dirgli, n o n l a s c i a r m i p e r c h è i o n o n e s i s t o a l d i f u o r i d i t e. E – badate bene – Maddalena non esiste al di fuori di Giovanni e non al di là di lui. Per lei non c’è nessun altro luogo, nessun altrove possibile: senza Giovanni, Maddalena sparirebbe e basta; si scomporrebbe in particelle volatili, sparpagliate nell’universo come palle da biliardo sul verde brillante. Rinuncerebbe al suo corpo bellissimo, alle sue pretese da poco per poter vivere in funzione di lui. Degraderebbe la sua umanità a un composto organico, a una lunghissima sequenza di amminoacidi; si farebbe carne così da poter essere masticata e poi in bolo inghiottita. La sua schiena lordotica le sue iridi omocromatiche i suoi piedi cavi si ridurrebbero a un ricordo, all’istantanea sbiadita di una donna inesistente. “Sparami come si fa con una vacca”, “Cosa?”, “Vuoi farmi a pezzi, no? Stordiscimi”. Giovanni la guarda interdetto, perplesso dall’inusuale richiesta di Maddalena. Lui non vuole chiudere con lei, semmai aspetta che sia Maddalena a chiudere con lui, ma questa è un’altra storia, una divagazione al focus del problema. “Dove devo mirare per ammazzare una mucca?”, le domanda in un ghigno. “Al centro della testa, proprio qui”, gli afferra l’indice della mano destra per puntarselo in fronte. L’unghia di Giovanni preme così tanto sulla pelle di Maddalena da lasciarle un solco arcuato tra le sopracciglia. “Ma le bestie non muoiono per un proiettile captivo, vengono solo rintronate per la fase successiva. Tu devi spararmi un unico colpo al petto, uno soltanto: così da anestetizzarmi il cuore prima del massacro”, “Sei impazzita?”, “Non mi ami più”, “Ripeto: sei impazzita?”, “Non mi hai risposto: mi ami?”, “Maddi – Giovanni sbuffa – ti ho già detto che ti amo”, “Allora macellami e poi mangiami, non lasciare avanzi: divora tutto, anche le ossa”. Giovanni scuote la testa rassegnato: non sa fino a che punto crederle. “Potrò dire di appartenerti solo quando mi lacererai la carne e mi metabolizzerai come una bistecca. Prima di allora sarò solo un’estranea, una delle tante, un conforto dispensabile alla tua solitudine”, “Ma io non sono solo”, “Lo siamo tutti”. Giovanni si avvicina al viso di Maddalena, le bacia entrambi gli occhi, poi il naso le guance e infine le labbra. Lei glielo lascia fare, ammansita dal suo fiato caldo come un randagio da un tozzo di pane. “Quindi mi ami?” Giovanni si specchia nel languore di Maddalena, si sente bello solo quando si vede attraverso di lei. Non può più mentirle: le mentirà ancora. “Maddi, sei tu la donna che voglio: sposiamoci”.

Iugulazione

“Una volta storditi gli animali vengono appesi per gli arti posteriori oppure distesi lateralmente su un piano, quindi, con un coltello, vengono recisi i grandi vasi sanguigni del collo o del petto. Il sangue è raccolto a parte e smaltito come un sottoprodotto di origine animale oppure, in alcuni casi, utilizzato come alimento umano”

Augusta ha letto da qualche parte su internet che il sangue va via dai tessuti con un bagno in acqua fredda e aceto. Quando si è svegliata immersa in una pozza borgogna, Augusta non ha pensato a come avrebbe pulito il suo sangue dalle mutande, dal pigiama, dalle lenzuola o dal materasso. Il suo cervello era troppo impegnato a non collassare. “Mamma”, ha sibilato, “Mamma, ha soffiato più forte, mi è tornato il ciclo”. Le mestruazioni le si erano interrotte da un giorno all’altro e poi, una mattina, le erano tornate con l’arroganza di tutte le cose a cui non pensi più, ma che invece esistono e pertanto si impongono. Augusta ha un linfoma e, immersa in quel liquido pastoso, ha desiderato di morire. Appannata dal dolore, ha pregato. Mai Dio – Augusta in Dio non crede. Lei interroga i santi o meglio un Santo a cui si rivolge con rispetto, come a un superiore a cui fatica a dare del tu. Gettami addosso dell’acqua bollente, risparmiami un’altra agonia; salvami, Nicola, liberami dalle pene della cura. Ma Augusta nel sangue non è annegata. E non è annegata neppure nel piscio la notte in cui il suo corpo si è arreso al veleno. È stato allora, mentre due infermieri la sollevavano dal letto come il corpo di un cristo deposto, che ha sentito la vita scricchiolarle sotto il peso della morte. Ebbe una folgorazione che durò poco su una via che di Damasco aveva niente, men che meno la coercizione alla salvezza. Quella notte, Augusta si è alzata a fatica, sporca di merda, forte di un sorriso sghembo. “Portatemi davanti allo specchio”, ha detto, perentoria, con le croste gialle che le prudevano sulle guance scorticate dal cortisone. La sua non era una richiesta e non suonava neppure come tale. Il suo era un ordine: Augusta voleva guardarsi, voleva vedere il suo corpo svanire. Legata a una macchina da tre deflussori, ha trascinato i piedi intorpiditi fino alla porta. Gli infermieri erano due ombre operose alle sue spalle con le braccia protese in avanti per scongiurare la caduta. La luce del bagno era già accesa e conferiva ai suoi gesti un che di ieratico e sacrale. Contro ogni aspettativa, l’immagine che le rimandò lo specchio non era quella di un fantasma: Augusta non era affatto evanescente. Da qui la folgorazione: in lei non era avanzato un briciolo di spirito: Augusta era tutta corpo. Due occhiaie spesse le cerchiavano lo sguardo, i borborigmi le tuonavano nell’addome e per la piastrinopenia le labbra le sanguinavano in modo innaturale. Quel rivolo di sangue, che le fluiva copioso nella bocca colorandole di rosso la lingua bianca, le suggeriva di essere viva. È dal sapore ferroso del sangue che Augusta capì che il suo corpo non si era piegato alla morte. Della lei di qualche anno fa le era rimasto poco, solo i residui della sua disperazione. Ogni tanto le mancava la sua innocenza, il suo corpo prima della violenza. Con entrambi i palmi delle mani premuti sulla ceramica del lavabo, Augusta non si fece pena – e anche questa fu una sorpresa. Provò tenerezza nei suoi confronti, una forma benevola di compassione verso la sua miseria. Sentì nel petto il desiderio di sfiorarsi il volto deformato dai chemioterapici. Così, sollevò la mano destra dal lavandino, facendo forza sulla sinistra per non stramazzare a terra. Si accarezzò a lungo, ma senza commozione. Percorse attentamente i suoi connotati coi polpastrelli, riconoscendosi nelle anse delle sue rughe. Poi si pulì con il dorso della mano il sangue vivo della bocca . Abbassò gli occhi per guardarlo seccarsi sulla carne gelida. Pensò ai bovini sgozzati dai sacerdoti con le lunghe tuniche bianche; al sangue raccolto, spruzzato sugli altari. Alla fine del rito Augusta sollevò di nuovo lo sguardo per guardarsi riflessa. Il suo corpo aveva iniziato a vibrare come le foglie sopravvissute all’autunno. Augusta tremava. Sì, tremava, ma non di paura. Per la prima volta in vita sua, Augusta tremava d’amore.

Scuoiamento

“Con lo scuoiamento si rimuovono completamente la cute e i suoi annessi. Nel caso di animale con le corna vengono prima asportate le corna. Si procede poi ad effettuare delle incisioni in tutta la lunghezza del corpo dell’animale, appeso per le zampe anteriori alla guidovia, e quindi al sollevamento dei lembi che verranno agganciati alle macchine scuoiatrici per lo scollamento”

Dopotutto a Mauro sarebbe piaciuto che, alla fine, Laura scegliesse lui anziché quel bocconiano imbellettato che si fa il ricco coi soldi del padre. Da quando Laura non c’è, da quando Laura è andata via, Mauro ha smesso di amare. Ora scopa le Maria, 28; le Daniela, 32; le Valeria, 31 e lo fa per non pensare a Laura. È bulimico; da quando Laura lo ha lasciato, Mauro è diventato insaziabile. Ha smesso di frequentare le donne e ha iniziato a divorarle. Di alcune non ricorda neppure il nome. Delle loro facce ha conservato solo le bocche spalancate pronte ad accogliere il suo seme. Prima della carneficina le conversazioni con le Maria, 28; le Daniela, 32 e le Valeria, 31 sono scarne e ripetibili: si limitano al meteo (“Che tempo di merda, com’è possibile che piova ancora?”), al lavoro (“Oggi due palle in ufficio che non ti sto a dire…”) e a disquisizioni sporadiche su passioni seriali (Es.: Netflix, lo sport, la pizza, i viaggi), che ci accomunano tutti senza legarci a nessuno. Ogni tanto Mauro si fa schifo; si guarda allo specchio del bagno, si pulisce la barba intrisa di una mistura vischiosa di bava e umori e si fa schifo. Vorrebbe piangere: non riesco a piangere. Con la testa premuta contro la tavoletta del water si impone di vomitare, si ficca l’anulare e l’indice della destra in gola, gonfia le vene del collo, si fa paonazzo in viso, ma, nonostante gli sforzi, dal fegato cava solo uno yo-yo di bile e saliva. Quando Mauro ha visto Laura, ha notato la sua pelle, ma a tramortirlo è stata la sua capacità di scarnificarlo, di lasciargli esposta la carne nuda. “Sei sempre così silenzioso?”, “Non so cosa dire”, “Allora non diciamoci niente, shhhh, restiamo in silenzio”. E in silenzio sono restati per tutta la sera e in silenzio hanno fatto l’amore, sì, l’amore, per la prima volta. Nessuno dei due è venuto: si sono guardati a lungo e nel loro lungo guardarsi si sono riconosciuti. Tra la masnada di bestie, Mauro e Laura si sono guardati e si sono riconosciuti. E, perché no?, amati quel tanto che basta per dimenticarsi. Da quando Laura ha scelto un altro, a Mauro trema il cuore, ma nessuno se n’è accorto. Dopo la rottura, si è ricucito in fretta la pelle che Laura gli ha scolato di dosso. Ora, dopo il sesso, sotto il getto della doccia, Mauro consuma flaconi di bagnoschiuma. Quando Laura c’era, quando Laura non era andata via, dopo l’amore, Mauro non si lavava neppure le mani.

Eviscerazione

Quello che so sull’amore:

MEDICINA

Ablazione chirurgica dell’intero contenuto di una cavità naturale (piccolo bacino, orbita) o la fuoriuscita di organi addominali attraverso la deiscenza di ferite laparatomiche.

ZOOLOGIA

Amputazione spontanea dei visceri animali (autotomia: fenomeno che presentano certi animali, consistente nell’amputazione spontanea di alcune parti del corpo, che vengono, in seguito, rigenerate).

L’attaccamento alla vita porta le lumache giapponesi a privarsi del corpo; a sopravvivere per giorni all’assenza del cuore.

Mezzenatura

“La carcassa dell’animale viene tagliata a metà longitudinalmente con una sega lungo la spina dorsale, ricavandone due pezzi separati”

“Mi sposo”, mi dice solo questo: mi sposo. Dal petto non sento alcun colpo; non un tu-tutum e men che meno un tuffo. Un cuore non ce l’ho da prima che mi eviscerassero. Il muscolo poetico appartiene alla mezzena di sinistra, quella di Giovanni. A me è spettato il fegato che ora è gonfio e pulsa comprimendomi dall’alto l’intestino. Io e Giovanni non siamo le due metà combacianti di una mela, ma le mezzene rossastre della stessa carcassa. Prima della lacerazione, io e Giovanni eravamo un unico animale, un maiale da cortile col muso sporco di fango e mangime. Non ricordo come fosse essere un porco: Giovanni ci ha privati di ogni possibilità. Chissà cosa provavamo a scorrazzare nel verde, ignari del mattatoio. Gli sorrido, ma le fitte al fianco destro si fanno via via più forti, piegandomi in un dolore ingiusto. “Buon per te”, gli dico, mordendomi le mucose della bocca fino a farle sanguinare. Giovanni distoglie lo sguardo dalla strada e si volta con cautela verso di me. Intuisco dalla luminosità acquosa dei suoi occhi la pretesa assurda di un mio cedimento. Ma io resisto in silenzio, un silenzio solido e legnoso, spaccato di tanto in tanto dall’ascia dei Neubauten. Abbasso il finestrino dell’auto per respirare un odore diverso da quello di benzoino della pelle di Giovanni. “Avrei potuto amarti fino a rimbecillirmi”, “Che hai detto? Non ti sento”, “AVREI POTUTO AMARTI FINO A RIMBECILLIRMI”, gli urlo finché non mi viene meno la voce. Giovanni inchioda. “Ripetilo”, “No”, “Ripetilo”, “No”, “Perché non ci siamo dati una chance?”, “Perché non ne abbiamo mai avuta una – strozzo un singhiozzo con l’epiglottide – siamo sempre stati spacciati”.
Non ho capito da sola di amare Giovanni: me l’hanno suggerito gli altri, sussurrato all’orecchio e inoculato nel cervello, come un pettegolezzo a cui non volevo credere. L’immagine più nitida che ho di lui non ci riguarda. Ballava stretto a una ragazza che ai tempi non ero in grado di riconoscere. Abbacinata dalle luci della sala, non ho visto il bacino di Giovanni premuto contro quello di Maddalena. Ho notato solo le loro mani. Quelle non erano mani imbarazzate che si incontrano per la prima volta. Erano mani adulte che avevano memoria le une delle altre; tra Giovanni e Maddalena scorreva una familiarità che già allora sapevo che a me sarebbe stata preclusa. Nel locale vomitai; a casa piansi. Nel locale vomitai il loro amore, a casa piansi l’amore che Giovanni non mi avrebbe mai dato.
“Giò, rallenta”, Rallenta, rallenta, cazzo, rallenta. “Dimmelo: dimmi che mi ami”. Rallenta. “Dimmi che mi ami, dimmelo”, Giovanni batte entrambi i pugni contro lo sterzo, con la rabbia di un bambino viziato. “Rallenta – chiudo gli occhi – ti prego rallenta”. Giovanni urla “Dimmi che mi ami”, “Smettila, fermati, fammi scendere, fermati”.


You got a face with a view I’m just an animal looking for a home / Share the same space for a minute or two


Alla fine Giovanni non s’è fermato: all’incrocio ha tirato dritto. Dell’impatto ricordo poco: il guardrail, un campo di granturco, la mano di Giovanni che adesso stringe la mia. Per un istante – uno soltanto – prima della mannaia.

Lascia un Commento