“Ti vedo arrabbiato, cos’hai?”
“Mh, nulla d’importante. Le solite cose, la solita routine, la solita noia.”
“E non ci trovi qualcosa di meraviglioso in questo?”
“A dire la verità, proprio no. Credo che a lungo andare possa diventare alienante: sai tutta quella storia del “raggiungi i tuoi obiettivi”? Ecco, io credo di averli raggiunti ma mi sento comunque perso. Sai, è come se mi sfuggisse sempre qualcosa… non so. Mi sfuggono le cose essenziali, insieme ai dettagli. In fondo, mi sfugge il senso.”
“Come il senso?”
“Ma sì, il senso di ogni cosa. Facci caso: ogni singola cosa su questo dannato mondo ha un nucleo. La pesca ha il nocciolo, gli esseri umani hanno il cuore…”
“E i sassi?”
“Ma perché ti soffermi sui sassi?! Io parlo di esseri viventi, di “anima” e tu pensi ai sassi.”
“Anch’io non sono vivo, eppure eccomi.”
“Ma infatti non dovrei parlare con te, non puoi capire.”
“E il cielo? Neanche il cielo è vivo, eppure mi sembra più vivo di te. Come i sassi. Pensaci: non sono esseri viventi, eppure esistono da prima di noi e con molta probabilità esisteranno dopo di noi. Ispirano sentimenti, poesie, canzoni e scatenano reazioni molto violente, moti dell’anima. Se tiri un sasso addosso a una persona, quella come minimo urla. Ha una reazione, insomma. Molte persone non sono in grado di fare quello che fa un semplice sasso, non scatenano nulla negli altri. Forse è perché non hanno nulla dentro.”
“Ma cosa c’entra con quello che sto dicendo io?”
“C’entra, eccome. Hai detto che ti sfugge il senso di ogni cosa? È perché, al contrario di quello che pensi, ti soffermi su dettagli irrilevanti, come il fatto di essere vivi.”
“Stai delirando e io sto facendo tardi a lavoro.”
“Ascoltami! Dici di non trovare il senso, giusto? Io credo che il senso sia esattamente questo: non avere un senso. Siete tutti alla perenne ricerca di dettagli per unire quei puntini che, affidandovi a un dio o a un credo qualsiasi, chiamate destino. Siete così persi in questa ricerca certosina da farvi sfuggire ogni cosa: andate in vacanza ma non vi godete il viaggio; andate a letto con qualcuno ma non vi godete il suo odore; andate a cena fuori, ma non vi godete la serata; raggiungete un obiettivo ma non vi godete la fatica che avete affrontato per ottenerlo. Siete penosi voi umani, soprattutto visti da fuori. Perennemente proni alla spasmodica ricerca del frutto della vostra semina e vi dimenticate di guardare il cielo. Ti ho sentito l’altra sera sai? Con lei, mentre…”
“Non sono cose che ti riguardano. Oltretutto sei sordo, che vuoi sentire?”
“Oh, mio caro: tu reputi me sordo perché non ho orecchie, eppure non ti curi del percorso che fanno le parole, i suoni, le intenzioni per esser conosciute. Loro sì che badano davvero all’essenza, trovano sempre un modo per insinuarsi sotto pelle e infilarsi nelle vene. Pure per chi è sordo, come me. Comunque, tu di lei hai sentito solo che ansimava e quindi eri tutto contento perché eri il protagonista di quei film porno che tanto ti piacciono. Eppure, non sai nemmeno se ha finto, se davvero ha raggiunto l’orgasmo. E sai perché? Perché pensi di badare ai dettagli, eppure li tralasci tutti, pensi di trovare un senso alle cose quando non hai capito che tutte le cose belle non hanno senso. Non hai notato come ha guardato in basso mentre l’accompagnavi alla porta? Era in imbarazzo, si vede che le piaci. Teme di non sentirti più perché la nostra dannata società fa ancora crescere le donne con la convinzione che concedersi troppo presto sia da ragazze facili e che, quindi, verranno automaticamente scartate per il solo fatto di aver assecondato una pulsione naturale nei confronti di un uomo. Non hai notato come si è messa i capelli dietro l’orecchio? Era per farti vedere che indossava gli orecchini del vostro primo appuntamento. Le avevi fatto dei complimenti per la pietra, se non sbaglio. Per come si accordasse alla perfezione con il colore dei suoi occhi.”
“No, in effetti non c’avevo fatto caso. Lei mi piace, è che in questo momento devo concludere quel grosso contratto…”
“Ma basta! Quante scuse, quante parole vuote, quanti “è che” o “in questo momento”. Tutte cose inutili. Per questo dico che un sasso è più vivo di te: lui non si cura del senso di quello che fa, lui non ha oggi, lui non ha domani, lui non ha nulla. Secondo voi, non ha nemmeno un’identità e per questo non si cura di tutti quegli orpelli di cui vi curate voi, penosi pure quelli. Al sasso non importa dei contratti, dello status sociale, di Instagram, delle responsabilità che derivano da un rapporto, della paura che una storia finisca male o del dolore della perdita. Eppure, nel suo non curarsi, visita il mondo facendosi trasportare di mano in mano o di fiume in fiume; accarezza la pelle di chi gli si siede sopra; sente il dolore di chi colpisce. Tu, il suo dolore, neanche l’hai sentito. Il sasso, invece, sa quando fa male. Quindi: sei più sasso tu o il sasso?”
“Forse io. Quindi, per diventare come il sasso, dovrei perdere la mia identità?”
“Allora lo vedi che non capisci nulla?! Tutt’altro! Devi ritrovare la tua identità: ho detto che il sasso, secondo voi, non ha un’identità. Ma il sasso non si cura di quello che pensate di lui, il sasso sa essere se stesso, a differenza vostra, e non ha bisogno che qualcuno gli dica cosa può o deve fare. Il sasso è sasso, nel senso più profondo dell’essere. Il sasso non cerca il senso dell’essere sasso, non fa il sasso e non si atteggia a sasso. Il sasso è se stesso e nient’altro.”
“Domani la chiamo.”
“E fai bene, si vede che ti piace. Lo noto da come sorridi: ti vengono le rughette attorno agli occhi, come quando eri bambino. Quando qualcuno ti piace ti fa venire le rughe. È per tutti così, le rughe sono la cifra dell’amore. Pure loro hanno il senso di non avere senso o di averne fin troppo, a seconda dei filosofi a cui chiedi. Come il sasso, tale e quale.”
“Grazie, davvero.”
“Di nulla, sempre a disposizione. Ora però vai che farai tardi a lavoro. Un’ultima cosa: smetti di cercare il senso delle cose, vivile e basta. Quando meno te lo aspetterai, ti sarà chiaro che si trova smettendo di cercare. E allora non possederai il senso di tutto, sarai il senso di te stesso. Ah, e quando torni, dammi una pulita: sono pieno di macchie da dentifricio.”
Chiuse il rubinetto, facendo attenzione a non sporcare ulteriormente. Si passò la mano tra i capelli, si diede un’aggiustata alla camicia e indossò il suo migliore sorriso: per la prima volta, non aveva visto il suo riflesso. Aveva visto dentro se stesso.
Ad un giuramento dall’essere avvocato, classe 1993, romana D.O.C.
Laureata in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli con votazione 110/110, specializzata in Diritto del Lavoro e Responsabilità Professionale, parla fluentemente inglese a livello C1 grazie ad una parentesi di studio presso il Griffith College di Dublino.
Collaboratrice del Quotidiano del Sud dal 2019 e Vicedirettore di“Iuris Prudentes”.
Appassionata di pittura, lettura, psichiatria e shopping!