Sono passata da casa sua questa mattina.
La finestra che dà su Sarpi ha le persiane aperte.
Il vento soffia leggero e fa muovere le foglie in un piccolo valzer.
Stringo tra le mani la copia delle chiavi.
Entro a piccoli passi; chiamo il suo nome, ma non odo risposta.
Il cucinino è un disastro,
Anche stavolta non ha lavato i piatti, penso tra me e me.
Mi siedo al solito posto e aspetto.
Ieri Michele è uscito di casa indossando la sua giacca preferita.
Ha fatto una lunga passeggiata tra i vicoli del quartiere, ha salutato i bambini che giocavano a pallone e ha raccontato loro storie di giganti.
Dopodiché, è andato a bere un caffè, “Gli tremava la mano e la tazza si è rovesciata” ha raccontato il proprietario del chiosco di fiori seduto tra gerani e fiori di lillà.
Poi è andato via, fischiettando la sua canzone preferita ‘Nel blu dipinto di blu’.
Se chiudo gli occhi posso immaginarlo lì dove tempo fa gli scattai una foto, su quella stessa scala bianca a chiocciola che ci sembrava stupenda in quel gioco di colori.
Ha allungato la sua mano verso il cielo, ma non l’ha toccato: troppo distante.
Forse è per questo che si sarà spinto più su, lì dove ha trovato il suo blu.
Michele ha sorriso pensando che avrebbe imparato a volare… così ha allargato le braccia.
Lo hanno trovato a terra, disteso, con un sogno tra le dita.
Dovrebbe essere vietato svegliarsi con un ricordo ormai in viaggio e il nostro tempo rubato.
È già una settimana che è andato via, ma io me ne sto ancora qui, su questa sedia rossa.
Aspetto, non ho fretta.
Intanto indosso la sua croce. Mi vesto della sua assenza. Questo assordante silenzio copre il suono del suo pianoforte.
Anche il cielo mi fissa beffardo. Perfino lui se ne sta lì a ricordarmi che non ci sei più.
Sono già due settimane che sei andato via, e io sono ancora qui, su questa sedia rossa.
Aspetto, non ho fretta.
Sono prigioniera dei ricordi, ma mi libererò dalle catene di questo dolore. Il cuore pesa e il sorriso che tanto amavi sembra non appartenermi più.
Sono già tre settimane che sei andato via e io devo lasciarti andare.
Ti bacio.
“E quel bacio siglò il distacco dell’anima dal corpo”, disse la guida al Monumentale. Ricordo ancora l’espressione di meraviglia sui nostri volti.
Oggi ho deciso di uscire.
Dal tram il mondo non ha contorni, tutto va veloce.
Mi arrivano le risate di un gruppo di ragazzi che si stanno raccontando di quella volta che persero l’aereo, mentre erano in aeroporto a mangiare hamburger e patatine.
Qualche turista si vede ancora e posa davanti la Galleria. Noi, che queste cose le abbiamo sempre odiate.
Il Duomo è sempre lì, imponente, sovrano della città.
Una ragazza ha appena fatto shopping e un ragazzo la segue spazientito.
C’è un ciclista che non ha così fretta di tornare a casa da sua moglie.
Due amiche passeggiano raccontandosi nuovi flirt.
E non importa in quanti pezzi sia il mio cuore, il mondo va comunque avanti.
Sono già quattro settimane che sei andato via.
Sono passata da casa tua per raccogliere le tue cose.
Sulla scrivania impolverata fogli e fogli buttati a caso.
“Per Titti”.
Eccola: una lettera abbandonata in una casa ormai vuota.
È scritta lì a fil di voce, con i lenti battiti di un fragile cuore.
La assaporo piano.
No, non mi hai vomitato addosso colpe e paure.
Quante volte avrà tremato la tua mano. E le pause – lente pause – accompagnate da un saluto: VIVI LA VITA!
È questa la tua ultima frase: la più bella, perché – lo sai – è la mia parte preferita.
Adesso posso salutarti davvero col più bello dei miei sorrisi.
Nasce a Reggio Calabria nel 1986, ma vive a Milano da oltre un decennio.
Proprio a Milano, consegue la laurea in Lingue e, grazie ad essa, parla fluentemente Inglese, Spagnolo e Cinese.
La comunicazione è il suo pane quotidiano e il suo sogno nel cassetto è quello di diventare una travel blogger… Che è la spinta che l’accompagna a spasso per il mondo da anni.
Appassionata di scrittura, lettura e fotografia