"La libertà di manifestazione non sarà mai messa in discussione. Probabilmente perché è l'unica cosa che ci è rimasta".

Oggi il genere umano è produttore di noia e di malumore. La società intera è continuamente asfissiata da un senso di oppressione rispetto alle innumerevoli problematiche che attanagliano il nostro tempo.

Eppure, viene difficile immaginare come sia possibile che ogni singola categoria umana e sociale, dalla più privilegiata a quella più svantaggiata e debole soffra di gravi forme di disagio da più punti di vista.

Una fra tutte, certamente, è la condizione economica, portatrice di elucubrazioni mentali per antonomasia nella psiche umana. Ancor di più a causa della crisi pandemica che ha innalzato vertiginosamente la soglia di povertà tra la popolazione mondiale.

Ciononostante, non si può analizzare soltanto il dato economico per trovare giusta causa alla situazione generale, corroborata da numeri crescenti tra le fila dei disturbi psichici manifestati nelle forme più svariate e spesso non coadiuvate dalla giusta attenzione mediatica e dei governi nazionali.

Al tempo del covid, gli aiuti per i cittadini, sia economici che sanitari (compresi quelli psicologici), scarseggiano rispetto alla domanda, realmente enorme, delle richieste di aiuto.

Serve puntare i riflettori su più macro-cause scatenanti.

Il senso di malessere ed insoddisfazione generale era già presente, pre-pandemia, per colpa di una società che impone la perfezione per essere performanti.

È richiesta la piena efficienza in tutto ciò che si svolge durante le attività quotidiane.

Nell’era social, inoltre, ciò che conta è apparire perfetti (non più perfettibili) all’occhio altrui, semplicemente per essere al centro dell’attenzione, per essere presi in considerazione. È un modus agendi che esaspera il concetto di “diverso” per la paura dell’omologazione alle masse.

La globalizzazione ha contribuito, dapprima all’uniformità del pensiero medio/generale, innescando, poi, il senso di rivalsa nell’individuo che tende ad emergere e ha il fine di prevalere sul prossimo.

Questa disamina ci riporta ai problemi attuali: manifestazioni di qualsiasi genere per il malcontento comune, rapportabile, nella fattispecie, alle varie categorie di persone.

Del resto, la necessità di esprimere i propri bisogni, rispetto ad una politica sorda e cieca circa le priorità da affrontare all’ordine del giorno, la si riscontra tutte le settimane (ormai da più di un anno) nelle piazze italiane.

Ristoratori, commercianti, imprenditori, personale del mondo dello spettacolo, medici e infermieri hanno tutti esternato le proprie ragioni di indigenza e dissenso nei confronti delle cariche dello Stato.

Motivazioni diverse, talvolta opposte, ma sempre unite dal senso di incompletezza e di poca considerazione per la propria esistenza e la propria figura professionale e personale.

Si urla alla rivendicazione dei propri diritti, calpestati (a dire di tutti i soggetti in questione) da uno Stato assente, pare, in ogni campo.

Certamente le falle nel sistema sono tante; la pandemia ci ha messo del suo a spingere sull’orlo del precipizio settori già martoriati da vecchi problemi irrisolti.

I governanti – si sa – fan quel che possono per far fronte alla moltitudine di richieste e navigano a vista verso soluzioni incerte e, sicuramente, non esaustive.

La riflessione ultima cui siamo spinti, a questo punto, è: realmente e letteralmente va tutto male nel sistema? Siamo davvero tutti fortemente lesi nei nostri diritti?

La libertà di manifestazione non sarà mai messa in discussione, né tantomeno quella di espressione del proprio pensiero. Probabilmente perché sono le uniche cose che ci sono rimaste.

Residua semplicemente il dubbio circa la possibilità di non ritenere sempre la propria condizione come la peggiore in assoluto, tentando quantomeno di rialzarsi, fare i giusti conti con le difficoltà da affrontare; alle volte prendendosela anche con chi sta al di sopra (per nostra scelta elettiva), ma sempre consapevoli di dover fare tutto ciò che è necessario per non considerare se stessi come gli ultimi degli ultimi.

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