Chi l’ha duro, lo vince (il premio solidarietà): Durex Italia batte Burger King

"Abbiamo finalmente creato un mondo in cui le multinazionali si tengono per mano in un girotondo attorno ad un arcobaleno da cui sgorga una bevanda ibrida a metà fra Pepsi e Coca-Cola? Assolutamente no."

Sesso e cibo.
Cosa hanno in comune?
Non solo il piacere.

“Non avremmo mai pensato di chiedervelo”: è così che vengono lanciate le due nuove campagne pubblicitarie di Burger King UK (BK) e Durex Italia.
Il punto in comune? Entrambe arrivano in piena pandemia ed entrambe si rivolgono ai consumatori in merito alle problematiche relative al proprio settore e causate dal Covid-19.
Eppure sono agli antipodi, ma non (solo) per i prodotti venduti.

BK ha pubblicato da circa una settimana, sui suoi canali social, un post in cui invitava i suoi clienti ad acquistare prodotti da qualsiasi ristoratore, sia esso una grande multinazionale come McDonald’s, KFC o Five Guys, o il semplice bar sotto casa. In un momento di forte crisi per il settore, spiega l’azienda, è fondamentale mostrare il proprio supporto acquistando cibo da tutti per sostenere i lavoratori.

State già applaudendo?
Potete abbassare le mani.

Ad una prima lettura, si possono rilevare frasi strappalacrime che fanno sorridere i follower e che, di fatto, hanno portato decine di migliaia di essi ad apprezzare il gesto, tra like, retweet, commenti e chi più ne ha più ne metta. L’azienda ha avuto giorni di notorietà e si è nettamente distinta rispetto ai suoi competitor, che finora non avevano neanche lontanamente immaginato di poter fare qualcosa di simile.

Questi, infatti, probabilmente spiazzati – non tanto dal gesto, ma dalla strategia pubblicitaria innovativa rispetto alla solita catfight fra rivali -, si sono limitati a ringraziare pubblicamente i vertici di BK per l’iniziativa. Abbiamo finalmente creato un mondo in cui le multinazionali si tengono per mano in un girotondo attorno ad un arcobaleno da cui sgorga una bevanda ibrida, a metà fra Pepsi e Coca-Cola?
Assolutamente no.

C’è una frase, in questa pubblicità, che stona con tutto il resto: “Getting a Whopper is always best, but ordering a Big Mac is also not such a bad thing” (trad. “Mangiare un Whopper è sempre la scelta migliore, ma anche ordinare un Big Mac non è poi così male”). Dalle mie parti, alla fine di quella frase, per completare il contentino, qualcuno avrebbe aggiunto anche un “dai!” e dato una pacca a Ronald McDonald e compagnia bella.

BK si è tradito (in)volontariamente nelle sue reali intenzioni con una frase che è solo apparentemente di poco conto rispetto al resto. Dopo una decina di righe in cui dà realmente la sensazione di aver rivolto un invito totalmente disinteressato ai consumatori, lancia una chiosa che gli inglesi definirebbero passive aggressive e che possiamo parafrasare così: compra McDonald’s – fa abbastanza schifo, ma ehi, dovranno pur campare anche loro!

Possibile che, anche in un messaggio di “solidarietà”, una simile battuta finale dovesse essere necessariamente inserita?
Certo che è possibile! Soprattutto quando non è di vera solidarietà che si parla.
BK ha millantato nello stesso post di essere andata contro i propri interessi, eppure quelle ultime parole fanno capire che sono proprio quelli ad essere stati curati.

Ebbene sì: basta così poco per far trasparire come questa sia stata solo l’ennesima trovata pubblicitaria per rimarcare quanto tutto ciò, in fin dei conti, continui ad essere una competizione, camuffata da finto altruismo. Perché è facile costruirsi una reputazione spicciola. Da una parte, sulle spalle dell’immagine di altre aziende, con un giro di interazioni altissime e una crescita consequenziale del proprio brand e non di altri; dall’altra, a discapito di quella stessa immagine altrui, poiché, alla fine della manfrina, viene comunque liquidata come di qualità inferiore rispetto alla propria.

La competizione non è certo una novità tra i brand.
Peccato solo che gli altri lo facciano con maggiore dignità e senza nascondersi dietro un dito.
Eppure, non è solo di BK che si è parlato ultimamente, o perlomeno non in Italia.

A sventolare alta la sua bandiera – di quella sfumatura di blu così distintiva e riconoscibile – è stata Durex Italia.
Sulla scia di una politica comunicativa fatta di doppi sensi – mai volgari e puntualmente geniali – che le è già valso l’onore di essere sulla bocca di tutti gli amanti della comunicazione social da diverso tempo, la Durex ha toccato le giuste corde. Letteralmente.

È naturale che, a seguito di questo post, il giro di interazioni della Durex non abbia subito un’impennata della portata di BK, eppure se di etica vogliamo parlare in relazione ad una multinazionale, questo ne è un esempio lampante e anche piuttosto raro.
Non solo l’invito della Durex si è concentrato ad affrontare un tema molto delicato in un periodo storico così particolare, ma non è stato fatto sulle spalle e a discapito di nessuno, investendo piuttosto su riferimenti relativi ai propri prodotti senza sminuire quelli altrui.

Quella di Durex è, perciò, una lezione di vita e uno scacco matto a BK: senza fronzoli e stucchevoli falsità, “prende a cuore” la condizione in cui verte il Paese e al contempo ne approfitta per fare una sana campagna pubblicitaria. Il business è business, ma la classe non è acqua. O, per meglio dire, non è Whopper.

Ciò che, a parere di chi scrive, resta particolarmente interessante, è l’assurda connessione tra questi eventi e situazioni che più difficilmente sfuggono ai nostri occhi. Ci riesce difficile rilevare queste sottili sfumature, ma non ci riesce difficile rilevare la differenza tra chi fa beneficenza perché crede nella causa, o chi cerca di rendere la propria azienda green perché vuole investire sull’ambiente, o chi non si lacca le scarpe con il sudore altrui… E chi, invece, possiede gran parte delle aziende più influenti al mondo e si avventura in esperienze di vaga filantropia atta a smacchiare un millesimo del proprio curriculum vitae.

Il punto quindi è: meglio sacrificare qualche decina di migliaia di visualizzazioni ad un post ma salvaguardare l’integrità etica di un’azienda o comportarsi in maniera scorretta nei confronti di chi cerca di mandare avanti la baracca (a prescindere dalla grandezza della stessa) spacciando il tutto per pura bontà?

Non bisogna essere esperti in materia di comunicazione per giudicare campagne pubblicitarie fuori dall’ordinario. Tuttavia, è importante fare un passo indietro e porsi delle domande su dove debba finire quel “fuori dall’ordinario” e dove non sia il caso di far iniziare qualcosa di politicamente scorretto che cavalca l’onda di un momento storico di per sé già complicato.

Comunque, in fin dei conti, diciamocela tutta: sempre di multinazionali si parla.
Perché è vero che la modalità fa (e deve fare) puntualmente la differenza, in un modo o nell’altro… Ma alla fine l’obiettivo rimane lo stesso.
Perciò, che voi siate #teamBurgerKing o #teamDurex, vi ricordo che il risultato non cambia.

Non capite quale sia?
Per fortuna ci sono i meme.

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