Caro Babbo Natale, ho un desiderio semplice

"In quest’anno ho riscoperto il valore del caso, delle combinazioni fortuite, di quelle circostanze apparentemente normali che portano ad eventi straordinari. Sono stata fortunata, perché nonostante una pandemia ci abbia strappato via tutto quello che credevo solido, ho avuto la possibilità di mettermi alla prova, riscoprirmi, fermarmi, adeguarmi. Tutte queste cose, caro Babbo Natale, vorrei che rimanessero dove sono ora."

Caro Babbo Natale,
andiamo con ordine, ho molte cose da dirti.
Se sono stata buona o cattiva, questo spetta a te saperlo, lo so che hai la lista e che la controlli due volte, quindi non mi dilungo a spiegarti i motivi per cui merito almeno un regalo.
Che anno che è stato, vero? Sai, credo che questa frase la sentirai pronunciare spesso e in accezione negativa. Del resto, cosa ci sarebbe da dire, di bello, su questo 2020? Se ti stai chiedendo se questo sia l’ennesimo scritto con il bilancio dell’anno la risposta è: forse sì, forse no. Diciamo che questo 2020 ha portato scompiglio ovunque, lo avrai notato, e io forse avrei dovuto capirlo dal suono rotto e stonato delle trombette di Capodanno. Ma non potevo mica immaginare tutto questo. Comunque, è noto a tutti che la sera dell’ultimo dell’anno non sia tra le più brillanti e, alla fine della fiera, a me quella serata piacque molto, perché la passai con i miei amici, il mio pezzetto di famiglia acquisito. Ho apprezzato molto anche il momento in cui, imbracciando una chitarra un po’ scordata mi sono sentita una rockstar per 15 secondi. Il tempo di una storia di Instagram. Gennaio mi pare quasi non ci sia stato, sembra essersi dissolto, ma mi ricordo una Milano con la nebbia, le prime paure e conferme sul coronavirus, un concorso pubblico nella Monza-Brianza, treni vuoti alle dieci di sera. Febbraio mi ha regalato l’ultimo viaggio prima dello scempio, prima che tutto subisse un arresto forzato e quasi violento. Mi ha offerto una Madrid soleggiata, delle amiche sorridenti, dei churros con la cioccolata calda e un festival di Sanremo memorabile.

E poi eccolo l’inizio della fine, o l’inizio di tutto: il vero inizio dell’anno. Che posso dire, rispetto a quel periodo che tu già non sappia? MarzoAprileMaggio sono stati un periodo unico, di quelli che non puoi dimenticare neanche se vuoi, quasi si trattasse di un amore finito male. Forse perché, entrambe queste cose, hanno su di noi lo stesso impatto: uno schiaffo, una doccia gelida, occhi gonfi. Ricordo la paura, l’angoscia, quella sensazione di instabilità persino dentro le mura di casa. Ci sono stati dei momenti veramente difficili, giorni che si sono ripetuti uguali per mesi, senza subire mai variazioni. Anzi, il tempo era scandito dai bollettini, discorsi di Conte e DPCM. Ma non ti sto scrivendo per parlarti del lockdown, no, anche perché immagino ci sia passato anche tu – però lassù nella tua bellissima casa con elfi e pan di zenzero, secondo me non te la sei cavata tanto male.

Ma, caro Babbo, com’è che si dice? Non tutti i mali vengono per nuocere. Ecco, durante questi lunghissimi 366 giorni (pure bisestile è stato!), in un modo assolutamente insolito, ho sentito la mancanza delle piccole cose di tutti i giorni, quelle di cui puntualmente mi lamentavo. I mezzi, la confusione, il vociare degli altri. Mi manca la normalità, quella che è monotona per forza, che in fondo è speciale proprio perché è fatta di schemi fissi e ogni eccezione è un’occasione. So bene che questo cambiamento forzato è stato necessario e lo è ancora, ma io rivoglio quegli ostacoli, quelle seccature, quegli intoppi belli proprio perché normali. Certo, anche quella di adesso è, a suo modo, routine però… manca qualcosa. Ti sembra troppo? Forse mi lamento inutilmente? Può darsi. Lo so, lo so hai ragione, per una vita ti ho chiesto giocattoli, telefoni nuovi, computer, profumi. Ma quest’anno, a quella roba proprio non ci penso. Se un desiderio mi è concesso, allora voglio la quotidianità di prima, quella che metteva in difficoltà un gruppo di amici che non riesce a decidere dove andare a cena o cosa fare a Capodanno; quella che, di sera, magari a Roma, ti fa perdere l’ultimo autobus e ti costringe a fare la strada a piedi. Quella normalità che mi faceva sentire comunque accolta e al sicuro. La vita che conoscevamo e che sembra ancora troppo lontana.

Però, sento di doverti dire anche altro. Per esempio, che, qualche cosa – giusto qualche – di questo 2020 mi è piaciuta. Aspetta a tirare un sospiro di sollievo, però. Leggi prima.
In quest’anno ho riscoperto il valore del caso, delle combinazioni fortuite, di quelle circostanze apparentemente normali che portano ad eventi straordinari. Sono stata fortunata, perché nonostante una pandemia ci abbia strappato via tutto quello che credevo solido, ho avuto la possibilità di mettermi alla prova, riscoprirmi, fermarmi, adeguarmi. Tutte queste cose, caro Babbo Natale, vorrei che rimanessero dove sono ora. Perché quest’anno, oltre ad avermi regalato l’arte di saper aspettare, mi ha portato delle opportunità, dei rinnovamenti. Delle trasformazioni vere. E tutto ciò, è accaduto grazie a delle persone.

Io ho sempre avuto fiducia negli altri, e so di aver incrociato persone che, nel bene e nel male, mi hanno lasciato qualcosa. Sai, io veramente credo che ogni incontro sia destinato ad essere. Ma quest’anno è stato diverso, ha scambiato le carte in tutti i modi possibili. Eppure, quando certe cose, quando certi eventi sono già segnati, trovano la strada per arrivare fino a noi. E questa non è una frase fatta, Babbo, perché ho dubitato della sorte tante volte. E mi sono dovuta ricredere. Ho potuto consolidare dei legami con delle persone che non mi hanno mai fatto sentire sola, che mi hanno accompagnato in quei mesi lunghi e grigi; mi hanno accarezzato con la loro presenza, anche attraverso uno schermo; mi hanno dedicato il loro tempo, la loro compagnia e, alcune volte, anche il loro silenzio. Un semplice messaggio, spesso, è stato in grado di cambiare il mio umore. Mi sono aggrappata alle loro parole, alla loro cura, alle loro confessioni, alle loro bellissime storie. Tutte mi hanno emozionata, a volte commossa, e sono state per me un modo per evadere, una via per attraversare una strada poco illuminata. Poi, grazie a quelle scintille, qualcosa ha iniziato ad accendersi: mi hanno donato un modo per rinascere, partendo da me stessa.

Forse la vera normalità è ancora lontana, ma sento di poterla affrontare con le spalle coperte. Il 2020 mi ha fatto il regalo di scoprire e riscoprire le persone, guardarle più da vicino e sì, intendo dire che le ho viste per davvero. Proprio per questo, ho accettato le loro preziose sfumature, ne ho fatto tesoro. È proprio grazie a questo intreccio di storie e volti che sono uscita cambiata da quest’anno. E non posso non riconoscere in tutto questo, un piccolo miracolo. Quindi, se ti è possibile, tu che puoi, abbracciale – stringile – tutte da parte mia, porta loro in dono qualcosa che non posso esprimere mai abbastanza a parole e gesti: la gratitudine. Perché io mi sento tanto – immensamente – grata. Non posso non esserlo.

Questo è stato l’anno degli occhi bene aperti, dei piedi saldi nel terreno, della coscienza e della responsabilità. È stato l’anno dello stare vicini, pronti, insieme. È stato l’anno in cui tutto si è rivoluzionato e rimodellato. E poi, ti sembrerà strano, ma quest’anno mi ha davvero concesso, come poche altre volte, la possibilità di cambiare, crescere, di scoprirmi capace di accettare fine ed inizio, di lasciarmi andare e accettare le possibilità senza avere paura. Anche quando ciò significa mettere in pausa un sogno e guardare al presente, ché finché posso viverlo con chi amo, mi sembra già abbastanza.
Penso di essere arrivata alla fine, caro signor Natale, per cui non deludermi.
All’anno prossimo.

Ah,
PS: poi se ti va, anche una dose di vaccino non sarebbe male!

Maria Letizia

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