Anche quest’anno arriva la bella stagione e, come emerge da un’analisi di Reputation Rating, i litorali del Mezzogiorno conquistano la vetta delle spiagge percepite come migliori mete turistiche per l’estate. Chi vive in Calabria non percepisce l’arrivo dell’estate solo dall’aumento delle temperature, dai tormentoni estivi in ogni stazione radio, dalle persone che discutono su dove andare in vacanza o se è giusto andare al Jova Beach Party: chi vive in Calabria sa bene che, a disturbare i sogni estivi, non sarà solo il ritorno della zanzara tigre, che preoccupa la comunità scientifica per la sua capacità di portare in virus tropicale Chikungiya, ma anche l’arrivo dei napoletani a Scalea. Del resto, lo ha affermato anche Alberto Radius, in un’intervista rilasciata qualche mese fa alla rivista Rolling Stones: i napoletani rubano solamente, non come i milanesi che si danno da fare! Qualcuno si starà chiedendo come mai esistono ancora questi stereotipi nel 2022, ma soprattutto: chi è Alberto Radius? Beh, un ottimo musicista, ma non tutti, purtroppo, possono essere bravi anche nel dire sempre la cosa giusta. Per fortuna è arrivata l’estate che ci farà dimenticare ogni cosa, anche questa affermazione.
D’estate, arrivano proprio tutti, anche Richard Gere quest’anno: in occasione del Magna Grecia Film Festival, è venuto per la prima volta in Calabria inneggiando alla sua bellezza. Anche gli influencer o aspiranti tali sono pronti a realizzare i loro reels in cui appaiono in costume da bagno, perfetti e sorridenti su un pezzo di Dean Martin o Ludovico Einaudi, a seconda dello stato d’animo, attratti dai titoloni delle compagnie di viaggio che, per creare aspettative nei visitatori, consigliano i “Caraibi della Calabria”, la “piccola Cappadocia calabrese“, la “ Matera” o la “Provenza” calabra, la “piccola Venezia di Calabria” o il famoso “chilometro più bello d’Italia“, per citarne alcuni. Sembra tutto normale, se non fosse che si parla rispettivamente di Tropea, dei calanchi di Palizzi, di Zungri, del Parco della lavanda di Morano Calabro, di Scilla e del Lungomare Falcomatà di Reggio Calabria.
Luoghi straordinari, che non hanno bisogno di essere paragonati ad altrettanto straordinari posti per essere apprezzati, in quanto possiedono una loro identità, diversa da quella a cui vengono paragonati, un loro genius loci. Inoltre, sfatiamo finalmente un mito: non esiste testimonianza alcuna che Gabriele D’Annunzio abbia mai descritto il Lungomare Falcomatà come “il chilometro più bello d’Italia”. L’aneddoto, per quanto suggestivo, è privo di fondamento e risale al famoso telecronista sportivo Nando Martellini, inviato a Reggio Calabria il 27 marzo 1955, per commentare il Giro della Provincia di Reggio Calabria, che ritenne di dare lustro a quella città e al suo lungomare con l’attribuzione della citazione a Gabriele D’Annunzio, il quale non visitò mai Reggio Calabria. Si tratta di una burla, una fake news di altri tempi, che facilmente si prende per buona a giudicare dalla bellezza del posto.
Questa bellezza, chi vive in Calabria, la vede ogni giorno, ed è la stessa che spinge chi, invece, se n’è andato, a tornare. Non tutti, però tornano per restare, c’è chi torna solamente per l’estate, per nostalgia, per ritrovare la propria famiglia d’origine e per riassaporare la parmigiana di melanzane, rigorosamente fritte, della nonna, o per rivedere il mare, per gli amici. Chi torna, spesso, ha assunto un accento torinese e non fa altro che raccontare quanto si stia bene al Nord, dove tutto funziona (non come qui al Sud!), ma che manca loro troppo il mare. Quindi, a fine stagione, se ne riparte con un accento calabrese e la stessa voglia di scappare della prima volta in cui è andato via.
Restare, infatti, significa sopportare anche l’altro lato della medaglia, tutto ciò che non si vede nei post degli influencer o aspiranti tali, quella realtà raccontata dai notiziari sempre per fatti di cronaca nera o grigia, per assenza di servizi. Insomma: una realtà fanalino di coda dell’Italia dello sviluppo, realtà che ha spinto, in tempi di Pandemia, il Dott. Eugenio Gaudio, cosentino di origine, ex rettore della Sapienza, a rifiutare il commissariato alla Sanità in Calabria, perché diceva “mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro”.
La Calabria non è un posto dove tutti vivrebbero, forse perché, come l’ultima della classe, quella in ultima fila e lasciata un po’ in disparte, nessuno si aspetta niente di buono da essa.
Eppure la Calabria è la regione che ha dato origine alla nostra penisola. Il termine Italia deriva dal vocabolo Italói, termine con il quale i greci designavano i Vituli (o Viteli), una popolazione che abitava nella punta estrema della nostra penisola, la regione a sud dell’odierna Catanzaro, i quali adoravano il simulacro di un vitello (vitulus, in latino). Il nome significa cioè “abitanti della terra dei vitelli”. Fino all’inizio del V secolo avanti Cristo, con Italia si indicò solo la Calabria, e solo in un secondo tempo il nome fu esteso a tutta la parte meridionale del Paese. Successivamente, in epoca romana, anche le regioni settentrionali della penisola presero il nome di Italia.
L’antica kalon-brion (che significa “faccio bene”, in greco), punto di confine tra oriente e occidente, tra nord e sud, nei secoli è stata attraversata da numerose popolazioni provenienti da tutto il Mediterraneo, è il risultato di varie culture che ne hanno segnato profondamente la storia: tra i primi gli Aschenazi, gli Ausoni e gli Enotri, quest’ultimi di origine greca e stanziatisi in un territorio di gradi dimensioni, l’Enotria, che comprendeva le attuali Campania meridionale, parte della Basilicata e la Calabria. Dalla felice commistione di culture appartenenti a questi popoli nacque la civiltà dei Greci d’Occidente, passata alla storia come Magna Grecia. Al declino degli Enotri seguì l’avvento dei Bruzi, stabilitisi nell’attuale Calabria, che aveva assunto la forma di confederazione di città, ma con la guerra di Pirro dovettero cedere il territorio ai Romani a seguito della sconfitta di Annibale, di cui erano alleati. Al periodo Romano risalgono le grandi opere infrastrutturali, tra le quali la Via Popilia, edificata su ordine di Publio Popilio Lenate per unire Reggio a Capua. Con la caduta dell’Impero Romano fu la volta di Bizantini, Normanni e, sotto il regno di Napoli, di Angioini e Aragonesi.
Questa storia fa di essa la terra in cui Pitagora fondò la celebre scuola filosofica, la terra dei Bronzi di Riace, tra i capolavori più significativi del V secolo a.C., di numerose fortificazioni diffuse su tutto il territorio, tra cui, per citarne qualcuna, il Castello Aragonese Murat, a Pizzo Calabro, legato alla morte di Gioacchino Murat, il Castello di Santa Severina, del quale si conservano ancora bene le prigioni e gli strumenti di tortura utilizzate durante la prigionia, il Castello Ruffo di Scilla, il Castello Normanno- Svevo a Cosenza e a Lamezia Terme o la fortezza medievale a Roseto Capo Spùlico sulla costa ionica e ancora il Castelo Svevo di Rocca Imperiale, fatto costruire da Federico II di Svevia, lo “Stupor Mundi”, appassionato di cavalli, falconeria e di castelli. A Stilo, l’influenza bizantina ha lasciato come traccia la Cattolica, una splendida chiesa bizantina, e il Monastero di San Giovanni Theristis, gioiello bizantino-normanno, nonché unico posto in Italia in cui vivono stabilmente monaci greco-ortodossi provenienti dal Monte Athos, in Grecia.
È una terra di contrasti, poiché in pochi chilometri si alternano monti aspri, spiagge dorate, borghi arroccati e difficili da raggiungere, come Pentedattilo, un misterioso borgo antico delle “cinque dita”, così chiamato perché prende il nome dalla forma della rupe del Monte Calvario, a forma di una gigantesca mano. A lungo abbandonato, è diventato uno dei luoghi fantasma tra i più suggestivi d’Italia.
Oltre ai Parchi Nazionali del massiccio del Pollino a nord, della Sila, con le sue fitte foreste di pini, a sud e del massiccio dell’Aspromonte, in Calabria si trovano la Riserva Marina di Capo Rizzuto, dove i fondali di grande bellezza hanno portato alla costituzione di un parco marino, e le Riserve naturali delle Serre, il cui verde circonda totalmente la Certosa di Serra San Bruno. Esistono solo 18 certose dei monaci certosini e in Italia ne abbiamo due, una a Lucca e una in Calabria, a Serra San Bruno. Le altre sono in Francia (quattro), in Spagna (cinque), e una in Germania, Inghilterra, Slovenia, Portogallo, Svizzera, Brasile e USA.
La costa calabrese costituisce un decimo dell’intera costa nazionale. Infatti, appena superato il confine lucano-tirrenico, s’incontra già un sentiero costiero che attraversa scogliere con vegetazione mediterranea a picco sul mare, che va da Praia a Mare a S. Nicola Arcella, sede dello scenario dell’Arcomagno. Tropea, situata su un promontorio di arenaria, è un gioiello con palazzi del Seicento e del Settecento con ricchi portali scolpiti, dove la sagoma della chiesa di S. Maria dell’Isola rende magica una delle località più famose della regione. Poi c’è Scilla legata alla leggenda, secondo la quale le due sponde dello Stretto di Messina, da cui Ulisse passò su indicazione di Nausicaa sulla via del ritorno verso Itaca, ospitavano i mostri Scilla e Cariddi. Infine, Reggio Calabria, con il suo lungomare costellato da piante secolari e, sulla costa ionica, Caminia, Pietragrande e Soverato.
Si potrebbero ancora elencare luoghi meravigliosi, testimonianze di una storia millenaria, tra civiltà di un lontano e glorioso passato, ma raccontiamo anche le storie di chi, partendo proprio dalla storia, investe in ricerca, economia civile, turismo responsabile, antico sapere artigiano, prodotti. Sono tanti i percorsi di resistenza e certamente ci vuole molto coraggio a perseguirli. Per questo si giustifica chi sceglie di andarsene perché non vede futuro, soprattutto i giovani, ma il male peggiore che si può fare alla Calabria è liquidarla come terra senza speranza, condannata dai suoi stessi abitanti all’accettazione passiva.
La verità è che sappiamo poco di aziende agricole d’avanguardia nate proprio su quelle terre, guidate da veri esperti delle produzioni locali che hanno creato marchi di altissima qualità con i loro prodotti, come grano macinato a freddo, pecorino, fichi, zafferano, vino, bergamotto, spezie e aromi derivanti dalle influenze greche, romane, normanne, arabe, spagnole e francesi, nonostante le grandi difficoltà.
Non siamo a conoscenza del fatto che l’artigianato in Calabria è una realtà estremamente viva. Fra i vari prodotti, il primo posto appartiene alla tessitura. A Longobucco si producono arazzi e coperte, a S. Giovanni in Fiore i tappeti vengono intrecciati con una tecnica armena, a Ghorio di Roghudi si tessono coperte di ginestra, a San Floro esiste un museo che racconta la filatura della seta e che un gruppo di giovani, riprendendo l’antica filiera della gelsibachicoltura, ha aperto una cooperativa che ha riavviato l’allevamento dei bachi e la produzione di seta.
Anche la produzione di oggetti in ceramica ha radici antiche e vede in Squillace, Locri e Gerace i maggiori centri di lavorazione, ma anche la produzione di strumenti musicali, come quella dei liutai a Bisignano.
Librerie che moltiplicano i lettori, gruppi che danno vita a rassegne cinematografiche che ospitano grandi nomi da tutto il mondo, associazioni culturali che creano bellezza.
Esistono più Calabrie, quella che rassegnata scappa e va via tornando solo per le vacanze estive, quella che resta, ma non agisce e si lamenta di essere nata in una terra ricca e allo stesso tempo misera, e poi c’è la Calabria che resta e che nonostante questo, resiste, ma forse non si sa raccontare.
Tu di quale vorresti far parte?

Laureanda in Ingegneria Edile-Architettura presso l’Università della Calabria, lavora contemporaneamente come disegnatore tecnico. Creativa, spesso connessa al suo mondo interiore, ma attenta e ricettiva verso tutto ciò che la circonda, guarda al mondo con con occhi critici. Appassionata di sport, ne ha praticati alcuni a livello agonistico, come il nuoto e la danza sportiva. Ama viaggiare e la affascina conoscere luoghi e culture diverse dalla sua.