“La vita è bella”, quella che può sembrare una frase banale e stucchevole, è anche il titolo di un film, firmato Roberto Benigni. Tutti lo abbiamo visto almeno una volta ed è un capolavoro del cinema italiano.
Ma perché è tanto piaciuto? Perché ha vinto innumerevoli premi? Perché ha fatto incassi record? Perché almeno una volta durante l’anno viene mandato in onda in tv?
Perché è un film che ricorda la Shoah, un orribile spaccato di storia, ovvio.
Eppure ce ne sono stati tanti film che avevano come tema l’Olocausto. Mi vengono in mente “Schindler’s list”, “Il bambino con il pigiama a righe” o “Il pianista”.
Tuttavia lo spirito con cui lo spettatore si approccia alla visione de “La vita è bella” è completamente diverso rispetto a questi ultimi.
Vi siete mai chiesti perché? Sicuramente perché con Benigni è quasi impossibile non ridere almeno una volta. La prima parte del film è completamente comica. Basti pensare alla prima scena in cui alcuni cittadini credono che stia passando il re, quando invece Benigni sta urlando loro di spostarsi dalla strada perché si sono rotti i freni della macchina, con un gesto che sembra il saluto fascista. Oppure gli incontri rocamboleschi, non troppo casuali, in cui conosce quella che poi sarà sua moglie; oppure quando si finge l’ispettore del ministero e fa una lezione “magistrale” sulla razza ariana.
Ad un certo punto però, l’angoscia e la paura prendono il posto dell’allegria e della spensieratezza. Non si ride più ma, quasi impossibile a dirsi, si sorride. Si sorride quando il protagonista, nel campo di concentramento, comincia a spiegare le regole del gioco a suo figlio Giosuè, troppo piccolo per capire il vero significato di quelle deportazioni, che nessuno in realtà capirà mai; troppo piccolo per scoprire che quello è tutt’altro che un gioco.
E allora con immenso coraggio e talento, il “babbo” fa da traduttore al soldato tedesco, improvvisando un regolamento assurdo, a misura di bambino. Eppure il telespettatore sorride. In modo amaro, certo, ma sorride. Sorride quando il protagonista dice di essersi annotato il punteggio sul braccio, quando inventa gare a chi si nasconde meglio per non farsi trovare dall’avversario. Benigni ironizza anche alla fine, quando sa che sta per essere fucilato, e fa quella camminata buffa, pur di far sorridere il figlio. Perché questo è il messaggio che vuole trasmettere il film: la vita è bella, nonostante tutto. Ed è bella se noi riusciamo a cogliere l’ironia, a trovare il cavillo a cui aggrapparsi pur di non cadere nella disperazione anche nelle situazioni più tragiche, a sorridere perché siamo certi che dopo il temporale, arriverà il sole.
Ora, avete mai provato a vedere questo film da un’altra prospettiva? Avete mai pensato di cambiare l’ambientazione e adattarlo ai giorni nostri? Tentiamo! Vi accorgerete che siamo un po’ tutti Benigni nei momenti difficili. È l’istinto di sopravvivenza.
Provate a dire “la vita è bella” in questo momento. In piena pandemia. In un periodo in cui davvero sembra scoppiata una terza guerra mondiale: la vita è totalmente diversa rispetto a un anno fa. Non si può uscire di casa se non per validissimi motivi, negozi chiusi, il nostro nemico non è lo straniero, ma chiunque non sia un nostro congiunto. Abbiamo paura di lui. Lo temiamo, ci proteggiamo con la mascherina per difenderci da un suo attacco: i pericolosissimi droplets. Siamo stati chiusi per mesi in casa, non c’era nessuno per strada se non pattuglie di carabinieri e polizia. Le nostre vite erano ferme. Facevamo la fila per ore per poter entrare al supermercato e fare scorta di cibo e amuchina. Ogni giorno morivano, e continuano a morire, centinaia di persone. Gli operatori sanitari sono i nostri soldati che fanno degli ospedali il loro campo di battaglia.
Ancora oggi abbiamo paura di un secondo lockdown e, ogni annuncio di una conferenza di Conte, viene percepito come una sentenza di morte. Eppure di questa pandemia tendiamo a ricordare anche le cose divertenti che girano sul web: l’uomo che dalla finestra grida a squarciagola “Ce la faremo” (so che mentre state leggendo questa frase, vi sembra di sentire la sua voce nelle orecchie), i lanciafiamme di De Luca, il ragazzo che ogni giorno dal suo balconcino imitava i cantanti di Sanremo, i meme sull’uso delle mascherine, le bimbe di Conte, la maledizione della cinese riconducibile allo schiaffo del Papa, le battute “esco, vado a farmi un giro in cucina”,”Buongiorno da Mondello” e “Non ce n’è coviddi”. E tanto, tanto altro ancora che ci strappava, e continua a strapparci, un sorriso nonostante tutto.
Chi ha perso un parente, un amico o il lavoro a causa del coronavirus, sicuramente avrà difficoltà a dire “la vita è bella”, ma se per un attimo ha letto una frase ironica, ha sentito una battuta e gli è scappato un sorriso, allora per un istante ha colto il senso del film di Benigni. La vita è bella, perché nonostante tutto, nonostante le difficoltà che ci presenta, nonostante le perdite che ci colpiscono, cerchiamo di trovare sempre il modo di fregarla, e cogliamo il bello che essa può offrirci. Non ci arrendiamo mai.
E allora come il piccolo Giosuè alla fine del film corre incontro alla mamma, e felice le grida “Abbiamo vinto!”, avremo vinto anche noi.
Cosentina classe 1995, laureata in Biotecnologie per la Salute.
Amante delle fiction al punto da conoscerne molte a memoria, legge sempre le interviste ai protagonisti e alla regia e adora sbirciarne il backstage, per comprendere a pieno il lavoro e la fatica che stanno alla base di un qualsiasi progetto.
Attenta e paziente osservatrice, ha spiccate doti di diplomazia e imparzialità.
Appassionata di scrittura, cinema, lettura di romanzi e musica!