"Quando un bambino ci chiede qualcosa sul sesso ci trasformiamo in un mix grottesco tra un'anguilla e una saponetta bagnata sotto la doccia".

“Le apine volano e portano i semini di fiore in fiore disseminando la vita”. 

(… beeeelloooo… ma cosa c’entra con il fatto che prima di nascere ero nella pancia di mamma?) 

“La cicogna porta i bambini ai genitori che si amano, la notte”. 

( ehm… non capisco la questione della notte… Ma quindi l’amore ha a che fare con un uccello?)

“Il semino del papà entra nella pancia della mamma con tanti baci sulla bocca”. 

(Ma… sono nato da un miscuglio di saliva? Quindi, se do un bacetto alla nonna, la metto incinta?)

“I bambini nascono sotto il cavolo”.

(… Aaaaaah… per questo mamma dice “col cavolo, che faccio un altro figlio”!)

“Ehm… Hai visto come questo piatto si incastra bene nel cestello della lavastoviglie? È una vera meraviglia pensare a come gli ingegneri abbiano potuto studiare tutte le combinazioni possibili delle circonferenze che i piatti avrebbero potuto avere…” 

(… Ma cos’è questo rumore di unghie sul vetro?)

“Chiedi a tua madre”, con il successivo ed immediato “Chiedi a tuo padre”.

(E così via fino al completamento della condizione di flipper, che avverrà intorno al 54° anno di età)

No, non sono impazzita. Ho scientemente raggruppato alcuni tra i luoghi comuni che, nella mia esperienza di madre, ho incontrato quando mi sono trovata di fronte a quella che definirei “la domanda delle domande”.

A questa raccolta di scivolose e sguscianti banalità, ho voluto accoppiare le acute osservazioni che un bambino potrebbe fare, dinanzi alle sdrucciolevoli, evitanti e a volte improbabili affermazioni dei genitori/amici/nonni/parenti dinanzi alla domanda: 

“MI SPIEGATE COME NASCONO I BAMBINI?”

Lo so. La domanda delle domande crea scompenso. Fa girar la testa. Fa tremare le ginocchia. Intorpidisce le estremità. Fa formicolare le palpebre, ma, soprattutto, imbarazza atavicamente noi poveri genitori, che portiamo stoicamente le ferite tipiche dell’infanzia anni 80, il cui clima dominante è oscillato allegramente tra il retaggio della sessuofobia ed il turbamento del “Scoprilsessofaidate? No, Alpitour? Ahiahiahiahiai”.

Credo che in molti, quando la domanda delle domande squarcia il velo, si sforzino inspiegabilmente di trasformarsi in un mix grottesco tra un’anguilla ed una saponetta bagnata sotto la doccia.

Anche io. Scivolo. Sono madida di sudore al pensiero che arriverà questa domanda, prima o poi. 

Sudo e mi tremano finanche le sopracciglia all’idea di dover spiegare a mio figlio come avviene un rapporto sessuale, nonostante sia convinta fino al midollo che la scoperta fai da te, avvenuta per molti di noi -enni (non mentite…) attraverso il ritrovamento di fumetti dai titoli come “Biancaneve sotto ai nani”, sia lo starter più importante per un rapporto con il sesso infiltrato di tabù o – ancora peggio – di malsano senso del ”Peccato”. 

Ed è per questo che mi sono chiesta, banalmente: perché, nonostante abbia consapevolezza della necessità di una corretta informazione, al solo pensiero di affrontare certi temi con il novenne del mio cuore, è come se un cubetto di ghiaccio mi percorresse la linea della colonna vertebrale il 15 agosto sotto il sole di mezzogiorno?

Probabilmente, perché noi genitori quarantenni (figli degli albori della sessualizzazione targata Drive in e Colpo Grosso), ahinoi, siamo molto incapaci di avere un dialogo sereno e costruttivo su questo argomento.

Forse, non siamo ancora riusciti a scardinare del tutto (o anche per niente) il dialogo sul sesso, e continuiamo (spesso, ma per fortuna non sempre) a delegarlo alla scoperta autonoma.

Ma perché? Perché ripercorriamo strade familiari già percorse e di cui abbiamo nettamente percepito i molti limiti evitanti (e le pochissime risorse) senza che ci sfiori l’idea di affrontare i nostri stessi tabù?

Le domande sul piatto sono tante, ed importanti.

E dato che in 5.0 è ormai un flusso in cui navigo, nonostante i 42 anni che risuonano con un certo tono doverizzante verso la maturità, mi sfiora la malsana idea di rivolgermi a colei che tutto sa: l’università di Google.

E mi ritrovo lì, a cliccare: “Come spiegare il sesso ai bambini”.

I click sono migliaia.

Mi armo di pazienza. Scorro pagina per pagina. Fagocito articoli. Mi immergo in pubblicazioni scientifiche, a volte incomprensibili. Scorgo punti di vista molteplici. Sfoglio curiosamente libri illustrati con buchi, vagine stilizzate e favolette iperbolizzate con membri a colori. 

La cosa che più mi colpisce, però, è che vengo avvolta totalmente da una certa forma giudicante da parte di coloro che scrivono, i quali si rivolgono a noi genitori tremolanti di sapere, dicendoci cosa, come, quando, perché dire; e delineando strategie che, a parer loro, sono semplici e lineari come mettere il cappuccio ad una Bic, ma che per me, se provo ad immaginare di applicarle ad un dialogo concreto, sono stranianti, come le chiacchierate in autogrill tra Renzi ed il dirigente dei servizi segreti Italiani.

Mi sento turbata, e quasi umiliata di fronte a questo.

Qui, nel web, (e non solo qui, sottolineerei ndr.) tutti sono bravi a dare indicazioni.

Ma una risposta vera, empatica, che tenga in considerazione il turbamento genitoriale, non c’è, non esiste.

Tutto ciò che leggo, tutte le opinioni ed i consigli elargiti per affrontare questo argomento delicato e che provoca in me (e probabilmente in molti altri) un certo scompenso, non tiene in considerazione un punto di vista che è importante, forse il più importante: il bagaglio emotivo ed esperienziale del genitore, rispetto al rapporto con il sesso, che, probabilmente, dovrebbe essere affrontato, scardinato e sciolto nei suoi nodi principali, a livello genitoriale, molto prima di diventare un flusso di informazioni per i nostri figli.

Più semplicemente: come può un genitore spiegare serenamente la magia del sesso al proprio figlio, se quello stesso argomento non è stato ampiamente interiorizzato e attraversato in tutte le sue sfumature, e se il sesso (generazionalmente, ahinoi, accostato alla pornografia e al peccato) non è stato spogliato completamente dalle vesti che lo hanno caratterizzato?

Ancor più chiaramente: se io genitore, per primo, ho scoperto il sesso, ritrovando un porno, per caso, in soffitta, e se la cattolicizzazione di democristiana memoria ha permeato profondamente i miei processi di crescita e di approccio al sesso ed alla pornografia stessa – tacciandoli come “sporchi” e causandomi una logica che (oggi) riconosco come sessuofobica -, come posso affrontare serenamente un dialogo sul sesso con mio figlio?

Ed ecco qui che il processo genitoriale inverso torna a galla ed illumina il cammino: 

i genitori partoriscono i figli, è vero, ma anche i figli, partoriscono noi genitori. Eccome. 

Quindi, sintetizzando, una soluzione potrebbe essere abbracciare una visione nella quale solo riappropriandoci della necessità di un dialogo funzionale e sereno, in primo luogo con noi stessi e con le nostre ferite, potremmo dare inizio ad una rielaborazione profonda del nostro stesso vissuto, per poter finalmente restituire una visione del sesso serena ed appagante ai nostri figli.

Decisamente sì. Ho capito. Ho deciso di attraversare la mia difficoltà di approccio al sesso e al porno, per avere gli strumenti giusti così da sradicare una concezione malata e deforme di uno dei piaceri più importanti della vita.

Sono determinata. Sono convinta: non mi fermerà più nessuno. 

Chiudo tutte le finestre aperte del mio pc. Sono motivata come la squadra di rugby dell’Australia. Sono pronta a danzare verso la riappropriazione della bellezza dei piaceri del sesso e dell’importanza del dialogo con mio figlio.

Infatti, eccolo lì. Arriva. Si affianca a me. Vedo orgogliosamente nei suoi occhi il guizzo della sua istintiva perspicacia. Getta uno sguardo sul mio desktop.

Mi balena il pensiero di avergli fornito un assist perfetto, ma lo scaccio via. Eppure, il suono del mio acuto sesto senso, come fosse un bicchiere di cristallo, tintinna insistente, mentre arriva sotto la mia pelle uno sciame di apine impollinatrici in compagnia di cicogne che volano come flipper verso un campo di cavoli pieno di saliva. 

È troppo tardi ormai. La vocina novenne irrompe nel silenzio dell’università di Google:

“Mamma, ma lo sai che ieri sera ho visto una puntata di “Esplorando il corpo umano”, in cui parlavano di semini maschi che bucano le uova che stanno nella pancia delle mamme? Da dove arrivano i semini? Come entrano?”

Silenzio. Goccioline polari sulla schiena. Sento la colonna sonora di Mezzogiorno di fuoco in sottofondo, nonostante il mutismo abissale, mentre gli occhioni tondetti di mio figlio non smettono di perforarmi le pupille.

“Ehmn… Ma papà non c’è..?”

“No”, ribatte lui.

Ho parolacce taciute che gridano nei miei pensieri e maledizioni erranti che le accompagnano. 

“Facciamo così: siediti e aspettami qui. Vado a prendere da bere e PORNO subit…

TORNO, volevo dire TORNO, TOR-NO, hai capito?!!!” 

E, mentre i suoi occhi mi guardano, incastrati in un visino che ha adesso le fattezze di un punto interrogativo, io scappo in cucina, a maledire Freud, Biancaneve, i fumetti e anche l’università di Google.

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