Amarsi sotto la pioggia di Novembre

"Sopravvivere 30 anni è un privilegio concesso a pochi singoli e November Rain rientra certamente nel novero. È il perdono che chiediamo a noi stessi e il castigo che ci auto-infliggiamo."

Ricordo ancora il mio primo incontro con la “Pioggia di Novembre”, ero appena dodicenne e i miei gusti musicali stavano iniziando a prendere una direzione. Qualcuno dice che la musica che ascolti a cavallo tra scuole medie e scuole superiori lascerà per sempre un marchio stampato a fuoco e sotto questo aspetto io non ho fatto certo eccezione.

Avevo già ascoltato i Guns n’ Roses prima di allora, ma non avevano significato nulla nella vita di un bambino delle elementari incapace di sentire la musica più che ascoltarla e basta.
Sweet Child O’ Mine in qualche modo all’epoca (parliamo del 2007) poteva intercettare ancora una platea più vasta; la sua orecchiabilità, il ritmo più allegro, le permettevano di inserirsi tra spot pubblicitari, jingle alla radio o anche melodie all’interno di film e telefilm; ma per November Rain era tutto diverso.

Sarà anche dovuto al fatto che la mia generazione aveva ancora un disperato bisogno di rock (mi auguro che lo abbiano anche le successive), perché i genitori o gli amici con le chitarre e i vecchi CD infondevano il desiderio di poter vivere la vita delle rockstar, belle e dannate.
Non saprei spiegarvi esattamente come, so solo che un giorno, tra i corsi di chitarra e le prime strimpellate, mi sono imbattuto in questa armonia più cupa, ma stranamente coinvolgente.

Sapete come funziona con le nuove canzoni: appena le ascolti sei diffidente e se non riescono a catturarti subito è difficile che riescano a farlo in futuro.
La pre-adolescenza, probabilmente, ha giocato un ruolo fondamentale in questo senso: al germogliare delle prime, vere, sensazioni, tutto è amplificato; la cassa di risonanza delle nostre emozioni ancora vuota, ancora da colmare tra speranze, dubbi, amori, frustrazioni, riverbera il suono come se il cuore dovesse scoppiarci in petto.

Frame di apertura del video

Non solo il brano in sé, anche il video riesce a trasmette un fortissimo pathos.
Lo fa fin da subito, con un’inquadratura in cui si scorge, seduto sul letto, Axl Rose, protagonista tormentato dai suoi demoni e forse maggiormente dal senso di colpa. Il frontman della band è illuminato da una tenue luce esterna, che contrasta l’oscurità della notte, mentre in basso sullo schermo si scorge il titolo della canzone quasi graffiato.

La scena bruscamente si sposta in un teatro gremito, dove un direttore d’orchestra dà il La alla melodia e al pianoforte, suonato dallo stesso Axl, che muove dal grave all’acuto sin dall’inizio.
È seguito da violini e immagini in chiaroscuro dell’orchestra, da simboli religiosi, da un letto vuoto e dai membri della band, con la batteria che scandisce i respiri di chi è intento all’ascolto. Il tema è chiaro dal primo frame e dalla prima nota: il dissidio, il conflitto, in un crescendo che accompagna l’ascolto dal primo all’ultimo secondo.

A rasserenare e riportare la scena su toni più morbidi, più tranquillizzanti, è la voce di Axl con quel timbro inconfondibile tra il soave e il ferino, come una dolce carezza sul viso e al tempo stesso lo squarcio di un artiglio.

“Quando guardo nei tuoi occhi posso vedere un amore imprigionato; ma cara quando ti tengo a me non sai che provo lo stesso?”

L’amore imprigionato, trattenuto, non lasciato si esprime in tutta la sua potenza: un amore che ha paura di sé stesso perché indomabile, irrequieto, quasi dovesse consumarsi in un solo attimo.
La scena mette in risalto una giovane e bellissima donna in cammino verso l’altare, avvolta da una luce ultraterrena: la visione onirica incisa in un tempo che è già stato. Ad attenderla, al termine di una navata gremita, sempre lui, Axl, che la prende a sé, le scosta il velo, la guarda negli occhi e scorge in lei quell’ardore che potrebbe trafiggerlo e innalzarlo alla volta celeste nel medesimo istante.

Nulla dura per sempre e sappiamo entrambi che i cuori possono cambiare. È difficile reggere una candela nella fredda pioggia di Novembre.”

La fiamma che rischia di estinguersi, il dubbio che fa tremare un rapporto incerto eppure così puro, a momenti ingenuo. Gli amanti riescono a cogliere la fuggevolezza di quell’idillio iniziale che li ha uniti, che li ha resi uno.

Se potessimo prenderci il tempo per dirci tutto chiaramente, potrei far riposare la mia mente sapendo che tu eri mia, tutta mia. Per cui se vuoi amarmi, cara non ti trattenere, oppure finirò a camminare sotto la fredda pioggia di Novembre.”

Il ritmo inizia a farsi incalzante, il ricordo delle frizioni e delle fratture riaffiora alla mente e il rimorso si avvinghia alla carne del disperato cantante in cerca di conforto.
Basterebbe solo un momento, riavvolgere il passato, dirsi ciò che l’orgoglio strozzò in gola, per scacciare i fantasmi di un presente troppo gravato dal rimpianto. Intanto, si sovrappongono visioni di eventi spensierati ma ormai passati e il dolore continua a farsi largo tra le pieghe di ferite mai sanate.

Fa ancora più male quando sai che il responsabile della tua sofferenza sei proprio tu che ora vorresti strappartela di dosso e non c’è nulla di più doloroso che ricordare nella tristezza il tempo di una vita felice.

“So che è difficile sorreggere un cuore lacerato quando persino gli amici sembrano star lì a ferirti. Ma se tu potessi guarire un cuore spezzato, non sarebbe il tempo lì ad ammaliarti?”

Questa strofa serve a gettare in maniera sapiente le basi per ciò che sta arrivando. Siamo in bilico sull’orlo del precipizio che inevitabilmente ci inghiottirà; l’incanto ormai ha preso il sopravvento. Serve solo un ultimo passo per lasciarsi trascinare giù, e quando Axl rivolge a sé e alla sua perduta sposa l’ultima fatidica domanda, il confine tra sogno e realtà svanisce.

Dopo aver consegnato le fedi agli sposi, Saul Hudson, al secolo Slash, abbandona l’altare per dirigersi all’esterno della piccola cappella. Ad accoglierlo un paesaggio spoglio, quasi fuori dal tempo, e un’atmosfera sospesa in trepidante attesa di qualcosa che sconquassi improvvisamente l’aria.

Il riff che segue è senza dubbio una delle esperienze catartiche più profonde della mia vita (e non credo solo la mia).
La chitarra non sa parlare, eppure pizzicate da Slash quelle corde riescono a trascendere qualsiasi vocabolo. Il suono si insinua prepotente e al contempo dolce, un abbraccio dirompente che non ha nulla di materiale, pur essendo straordinariamente concreto.

Ho sempre creduto che le chitarre fossero gli strumenti più vicini a riprodurre il suono dell’anima e me ne convinco ogni volta di più dopo aver ascoltato questo fantastico pezzo. Non è un caso che sia stato giudicato come uno dei riff più belli di sempre.
Suggella il patto d’amore, ma non solo: dona il crisma dell’immortalità ad un brano che ancora oggi è tra i più ascoltati della storia.

“E quando le paure si placano e le ombre permangono, io so che tu puoi amarmi quando non è rimasto più nessuno da biasimare. Perciò non importa l’oscurità, riusciremo comunque a trovare un modo. Nulla dura per sempre, neanche la fredda pioggia di Novembre.”

Prima di tornare alla triste realtà, l’ultimo commiato, l’ultimo barlume di speranza e redenzione. Pochi istanti di quiete prima dello scatenarsi della tempesta. Così come il sogno, anche l’incubo è destinato a sopirsi, o almeno questo è l’auspicio, perché da qui in poi il ritmo viene nuovamente stravolto.

La pioggia fa la sua comparsa in video durante il banchetto nuziale.
La frenesia fa da padrona e nella concitazione del momento, tra bicchieri fracassati, vino rovesciato sul tavolo e la corsa ai ripari dei commensali, il dramma. Prima ancora di renderci conto di ciò che è avvenuto, la visione muta: la giovane sposa giace esanime in una bara nera.
L’angoscia trasmessa dall’ultima parte del brano incombe violentemente.

Il coro – a rappresentare i demoni mai placidi dell’animo – subentra vigorosamente e sovrasta ogni voce udibile, insieme al pianoforte che pare andare a ritmo incontrollato e con la crudezza metallica delle corde della chitarra, che incatenano l’ascoltatore agli eventi.
Il funerale: lo sposo in lacrime e la sepoltura, la pioggia che non si placa, un mazzo di rose posato sul feretro che lentamente stinge, fino a spegnersi in un luttuoso bianco e lui a pezzi in ginocchio sotto lo scrosciare dell’acqua. Così termina November Rain, con una poderosa violenza, un pugno allo stomaco tangibile seppur impalpabile.

Sopravvivere 30 anni è un privilegio concesso a pochi singoli e November Rain rientra certamente nel novero. È il perdono che chiediamo a noi stessi e il castigo che ci auto-infliggiamo.
Ci ricorda la miseria della nostra condizione terrena e la bramosia di poterla vincere: per questo è eterna.
Viene da pensare che i Guns si sbagliassero: nulla dura per sempre, tranne forse la pioggia di Novembre.

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