A febbraio 2020, l’amministratore delegato di Amazon, Jeff Bezos, ha dichiarato che avrebbe stanziato ben 10 miliardi di dollari per la lotta contro l’inquinamento ambientale: il Bezos Earth Fund. Va sottolineato che il multimiliardario è stato il primo a decidere di devolvere una così ingente somma di denaro per la causa, entrando nella hit parade dei multimiliardari filantropi.
Certo, 10 miliardi per Jeff Bezos corrispondono a 10 centesimi per i comuni mortali, ma questa è un’altra storia.
Prima di fare un colpo di telefono a Greta Thunberg per festeggiare, però, è interessante rilevare come da febbraio ad oggi tutto ancora taccia sul piano di stanziamento di questi fondi.
Sorge, quindi, spontanea una semplice domanda: perché? Perché qualcuno dovrebbe volersi liberare di 10 miliardi di dollari per una causa che, stando alle dichiarazioni dello stesso Bezos, è fondamentale per l’umanità, per poi seppellire il tutto nel dimenticatoio?
Amazon, ma non la foresta
Tutti conosciamo Amazon, il magnate dell’e-commerce che in quarantena ci ha garantito la nostra fornitura di oggetti che pensavamo fossero di fondamentale importanza (e invece, appena Conte ci ha sguinzagliati, li abbiamo abbandonati nell’armadio, sotto la scatola di vestiti di Carnevale del ’98).
O forse no?
REPERTO A: I Negazionisti
Amazon è uno dei finanziatori del think tank Competitive Enterprise Institute (CEI), organizzazione che nega l’esistenza del surriscaldamento globale.
E che sarà mai?
- Al CEI sono tutti convinti che l’anidride carbonica (CO2) sia di beneficio per l’umanità. Letteralmente. A scanso di equivoci hanno creato anche uno spot televisivo: “CO2: they call it pollution; we call it life” (trad. “CO2: loro lo chiamano inquinamento; noi lo chiamiamo vita”);
- Durante la presidenza di Obama, il CEI si è opposto al CPP (Clean Power Plan, piano di riduzione di emissione di gas serra nel settore di produzione di energia elettrica) e al momento è attivamente impegnato nel tentativo di screditare e far crollare il piano stesso;
- Ha sollecitato Trump a ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi (accordo globale per ridurre l’inquinamento ambientale), utilizzando fra le altre cose uno spot pubblicitario (sì, un altro, che volete che vi dica) per invitarlo esplicitamente a mantenere questa promessa;
- È figurata tra le organizzazioni principali che hanno sollecitato la Camera dei Rappresentanti Statunitense a votare a sfavore della fissazione del prezzo del carbonio;
- Non siete convinti? Bene. Come si può leggere sul suo stesso sito, il CEI si oppone all’allarmismo relativo al surriscaldamento globale; si oppone alle politiche di razionamento energetico, che includono non solo l’Accordo di Parigi di cui sopra, ma anche il Protocollo di Kyoto (trattato internazionale sul surriscaldamento globale), le legislazioni sul controllo delle emissioni e la regolamentazione dell’EPA (Agenzia di Protezione Ambientale Americana) sulle emissioni di gas serra; e si oppone agli incarichi e ai sussidi governativi destinati a chi utilizza tecnologie energetiche alternative.
REPERTO B: I Combustibili Fossili
Amazon possiede l’Amazon Web Services (AWS), piattaforma che fornisce servizi di cloud computing alle aziende. Niente di strano, se non fosse che sul suo stesso sito è possibile prendere visione delle compagnie a cui questi servizi vengono erogati. Mai sentito parlare di BP, Shell o ExxonMobil? Sono compagnie petrolifere e del gas, che tramite AWS riescono a velocizzare e ottimizzare l’individuazione e l’estrazione di combustibili fossili.
E tanti cari saluti a Greta Thunberg.
REPERTO C: L’Impatto Diretto
Nel 2019, per la prima volta, Amazon ha reso pubblico il livello di impatto ambientale raggiunto nel 2018 in termini di emissione di CO2, dichiarando che nel 2019 il dato ha subito un incremento del 15%. Di che numeri stiamo parlando? Si consideri che il dato di partenza (del 2018) equivale allo stesso livello di emissione di CO2 prodotto dall’intero Paese della Norvegia.
REPERTO D: Politiche Aziendali… In senso stretto
Da sola, la filiera di Amazon costituisce complessivamente il 75% dell’impatto ecologico dell’azienda.
Quant’è bello acquistare uno spazzolino di bambù su Amazon? Parecchio.
Peccato, purtroppo, che il packaging che lo accompagna sia composto da multi-materiale, per definizione più difficile da smaltire, a differenza delle classiche buste del negozio sotto casa.
Quant’è bello poter fare il reso quando la maglietta è troppo stretta o ci arriva danneggiata irreparabilmente? Parecchio.
Peccato, purtroppo, che anche fare un reso grava sulla salute dell’ambiente. Se poi pensate “che sarà mai un pantalone bucato”, immaginate l’impatto ambientale di 500 frigoriferi danneggiati.
Quant’è bello Amazon Prime con consegna entro 24 ore? Parecchio.
Peccato, purtroppo, che se in presenza di account standard viene potenzialmente utilizzato un unico furgone che consegna quanti più ordini possibili nella stessa zona – riducendo l’emissione di CO2 per la quantità ridotta di furgoni impiegati – con 10 account Prime, i furgoni diventano a loro volta 10.
Quant’è bello lavorare per Amazon e rilasciare interviste in merito alle sue scarse politiche eco-friendly, per poi ricevere minacce di licenziamento da parte dell’azienda stessa? Poco. Eppure, è successo anche questo.
Date ad Amazon quel che è di Amazon…
È mai possibile che Amazon non sia in grado di prendere alcuna decisione green?
È dello scorso mese la notizia che l’azienda ha concluso un accordo con Mercedes-Benz per l’acquisto di 1800 furgoni elettrici da aggiungere al numero già impiegato, che è sicuramente un ottimo inizio.
Un po’ come quando andate al McDonald’s e insieme al menu large prendete da bere acqua per restare in forma, insomma.
Non disperate, però! L’azienda ha dichiarato che entro il 2030 utilizzerà solo energie rinnovabili al 100% ed entro il 2040 ridurrà le emissioni nette di carbonio a zero. En plein? Vedremo; ad oggi, la compagnia ha implementato alcuni progetti che prevedono l’utilizzo di energia solare ed eolica, ma non abbastanza da riuscire a raggiungere il target prefissato entro le date di cui sopra.
Tra l’altro, tutti continuano a chiedersi in che modo verranno raggiunti tali obiettivi, siccome l’azienda non ha reso propriamente esplicita la pianificazione. Una valutazione approssimativa in merito? Impossibile!
Amazon è nota fra le grandi compagnie per i suoi problemi di trasparenza quando si tratta di fornire dati specifici e dettagliati sul suo impatto ambientale a livello regionale. E, naturalmente, senza un dato da cui poter partire, è difficile anche speculare su quanto lavoro ci sia da fare in ogni area per raggiungere gli obiettivi del 2030 e 2040.
… E a Bezos quel che è di Bezos
Sorge quindi spontaneo un dubbio… sarà mai che Jeff Bezos abbia votato quei 10 miliardi ad una causa in cui non crede realmente pur di allontanare le attenzioni del pubblico dalle scaramucce poco ecologiche della sua azienda? Perché, se così fosse, questa tecnica si chiamerebbe greenwashing e lui certamente non sarebbe né il primo, né l’ultimo a utilizzarla.
Peccato solo che un greenwashing fatto bene debba essere portato avanti fino alla fine, proprio per non destare sospetti.
E ora chi glielo spiega che deve iniziare a togliere i 10 miliardi da sotto il materasso?
Fonti:
Energiaoltre.it – “Perché Amazon corteggia improvvisamente le Big Oil”
Greenpeace – “Microsoft, Google, Amazon – Who’s the Biggest Climate Hypocrite?”
Insite Journal – “Amazon Greenwashing Won’t Bring Us Closer to Climate Justice”
Medium.com – “Amazon is funding premier climate denial “think tank””
NY Times – “Jeff Bezos Commits $10 Billion to Address Climate Change”
Qualenergia.it – “Amazon e l’ecommerce: non solo greenwashing, ma neanche vera sostenibilità”
Yaleclimateconnections.org – “The Trump EPA strategy to undo the Clean Power Plan”
Attivista per i diritti umani, classe 1995, cosentina, cosmopolita, bilingue (Inglese e Italiano, ma ce la sta mettendo tutta anche con lo Swahili!).
Laureata in Politica Internazionale alla SOAS University e specializzata in Diritti Umani alla UCL, entrambe prestigiose università di Londra, completa i suoi studi a soli 22 anni e da lì in poi si dedica ai diritti di richiedenti asilo e rifugiati politici.
A giugno del 2021 si specializza ulteriormente in Comunicazione e Lobbying nelle Relazioni Internazionali presso la SIOI e da luglio dello stesso anno vive e lavora in Tanzania seguendo un progetto per i diritti delle lavoratrici domestiche tanzaniane fino al 2022.
Co-autrice del corto “Non Solo Un Volto” sulla comunità LGBTQI+ cosentina.
Appassionata di politica, attualità, serie TV e scrittura!