Cara Presidente Casellati,
non so bene a chi rivolgere questo sfogo e dunque scelgo Lei perché, fra tutti, proprio Lei mi ha fatto sentire così amareggiata.
“L’Italia è una repubblica democratica”: recita così l’art. 1 della nostra Costituzione.
Repubblica democratica, in sostanza, può dir tutto e può non dir niente. Scavando, però, nell’etimologia della parola, si scopre che i greci con la sintesi di δῆμος – démos, «popolo» – e κράτος – krátos, «potere» – desideravano rafforzare il concetto in base al quale sono i cittadini, il popolo, a governare, secondo le loro leggi, il proprio territorio, indirettamente o direttamente in base alla forma di stato prescelta.
Ma questo Lei, dall’alto del Suo ruolo, lo sa. È senatrice, addirittura potrebbe intervenire in caso di impedimento del Presidente della Repubblica come suo vicario: non può non conoscere l’importanza della democrazia. Andiamo avanti.
Popolo, in via generalizzata, significa “di tutti”.
La res publica è una cosa di tutti, in teoria.
Invece non è così: l’Italia è una repubblica per tanti, per molti, ma non per tutti.
La 371esima seduta parlamentare del Senato della Repubblica del 27 ottobre 2021, da Lei presieduta, ci ha confermato, oltre alla nostra incapacità generalizzata di scegliere dei rappresentanti con un pizzico di dignità, rispetto per gli altri, per le istituzioni e per il proprio ruolo, nonché dotati di intelligenza e non solo emotiva, che l’Italia è elitaria.
Presidente, pensi che Le sto scrivendo questa lettera arrabbiata nonostante io sia parte di questa élite, di questo gruppo di fortunati: i normali.
Proprio come Lei, e come i Suoi emeriti colleghi.
Sono fortunata perché sono donna e amo un uomo.
Sono fortunata perché sono donna e amo il mio corpo e lo sento casa mia.
Sono fortunata perché ho, da sempre, amato gli uomini.
Sono fortunata perché ci vedo, ci sento, cammino da sola.
Sono fortunata perché non ho bisogno di cure particolari.
Sono fortunata perché non sono una disabile.
Sono fortunata, infine, perché sono normale.
Eppure, nella Costituzione non c’è scritto che lo Stato mi tutela in quanto sono normale. Anzi, all’art. 3 viene sancito il più importante principio posto a tutela dei diritti delle persone in base al quale “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Ad accentuare il c.d. “principio di eguaglianza formale”, il testo costituzionale interviene specificando che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Ci sono persone, cara Presidente, che ancora oggi non possono svilupparsi pienamente e ciò implica che non possono condurre serenamente e tranquillamente il loro quotidiano. Persone che vivono nel terrore di essere abusate, di divenire oggetto di soprusi verbali o fisici, persone che semplicemente si sentono diverse anche guardandosi allo specchio o specchiandosi negli occhi dei propri cari.
E Lei davvero è convinta che la Costituzione per loro non preveda niente?
La proposta dell’On. Zan, relativa all’introduzione di “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, ha (rectius: aveva) come scopo ultimo quello di inasprire pene e sanzioni per i casi di violenza e discriminazione per motivi di genere, sesso, disabilità e orientamento sessuale.
Dopo la prima approvazione del testo del DLL Zan alla Camera avvenuta il 4 novembre del 2020, siamo arrivati, un anno dopo, al suo blocco definitivo in Senato poiché le forze politiche non sono riuscite a trovare un accordo.
Rendiamoci conto, un accordo.
Parliamo di persone, Presidente.
Ma sul banco le carte scoperte non sono i volti delle persone; ci sono le battaglie, i dispetti, i giochi di poltrone, i favori, i riconoscimenti di forza di quei piccoli politici che siedono nella Sua Camera.
Così piccoli che non hanno avuto neanche il coraggio di metterci la loro faccia, per paura di perderla (n.d.r. magari era la volta buona), e hanno chiesto l’applicazione dell’art. 96 del regolamento del Senato.
Viene, infatti, previsto che “Prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un Senatore per ciascun Gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame”: in virtù di tanto, ed in ulteriore applicazione del successivo art. 133 che garantisce la possibilità di uno scrutinio segreto, sebbene in disuso per consuetudini di correttezza e pubblicità che dovrebbero essere garantiti nella gestione della cosa pubblica, le forze politiche hanno compiuto la c.d. tagliola.
Il DDL Zan non potrà essere più discusso nella sua formulazione originaria, potrà essere ripresentata una proposta di legge, ma non prima di sei mesi e non con questi contenuti.
Capisce, Presidente?
Lei doveva fargli mettere le facce a questi farabutti.
Lei doveva garantire alle persone, le stesse per cui Lei lavora e coordina la camera più importante del Parlamento, espressione proprio di quelle persone, di poter capire.
Di poter scegliere di chi fidarsi, domani, quando saranno chiamate nuovamente alle urne.
Doveva anche permettere a questi burattini, i cui fili chissà da chi sono diretti, di assumersi la responsabilità delle loro scelte.
E invece no, Lei ha dichiarato che la richiesta era “ammissibile”.
Sa cosa non trovo io ammissibile?
Non trovo ammissibile lo spettacolo, di cattivo gusto, a cui tutto il mondo ha dovuto assistere quel giorno. Non trovo ammissibile l’applauso denigratorio e irrispettoso dei senatori della Repubblica Italiana verso l’abbattimento di una legge, imperfetta, incompleta, che poteva essere rivista certamente, ma garantista, come il DDL Zan.
Prima di pensare alle persone e ai loro diritti, ci si è impegnati a vincere la sfida politica, perdendo, ancora una volta, quella umana.
Non avevo mai sentito il termine “abilismo”, con cui si intende la discriminazione, il pregiudizio o la marginalizzazione nei confronti delle persone disabili.
Ragionandoci, per la prima volta in ventisette anni di vita, mi sono sentita addolorata.
L’Italia non tutela le minoranze, anzi, non gliene importa proprio niente delle diversità.
Eppure, la Costituzione garantisce i diritti di tutti e non solo di chi, per qualcuno, è normale.
Proporrei, allora, una rivisitazione dell’art. 1.
Scriverei: “L’Italia è una repubblica abilista”.
Perché tanto i disabili, emotivi e non, non meritano tutela nel nostro territorio. Che si guardino da soli.
Però io non sono speciale, non sono normale. Io sono una persona. Come tante altre.
E, cara Presidente, come oggi Lei tutela me, dovrebbe impegnarsi a tutelare tutti. Allora sì, quando ciò accadrà, l’eguaglianza sostanziale non sarà più un miraggio.
Classe 1994, nasce e cresce a Cosenza, ma casa sua è il mondo intero.
Avvocato, donna in carriera e aspirante madre di famiglia, è laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli e specializzata in Diritto di Famiglia e Minorile e in Diritto del Lavoro e Welfare, con esperienze di studio presso la Stockholm University in Svezia e la Universidade da Coruna in Spagna.
Ha viaggiato in numerosi angoli della Terra con lo zaino in spalla e la voglia di raccontarli.
Appassionata di letteratura, cucina, esplorazioni e ambiente!